Non si può dire che a Mountain View non sappiano assumersi le proprie responsabilità. Google, in risposta alla class action presentata dall’associazione “Consumer Watchdog”, ha ammesso che la corrispondenza degli utenti di Gmail non resta privata. La dichiarazione ha rinfocolato il dibattito sulla privacy, già acceso dalle rivelazioni di Edward Snowden sul Prism, il programma di sorveglianza elettronica gestito dalla NSA. I legali di Mountain View sostengono che chi manda una missiva deve essere consapevole che sarà letta da un collaboratore del destinatario. Google è perciò rappresentato alla stregua di un segretario che smista la posta del ricevente. Di opposto indirizzo la tesi dei consumatori, che paragonano Big G ad un ufficio postale, per il quale è sufficiente conoscere l’indirizzo ai fini dell’invio. Insomma, due argomentazioni agli antipodi, non di facile valutazione per il tribunale di San Josè. L’udienza di lettura delle memorie difensive di Google è fissata per il 5 settembre.
Ad onore del vero, va detto che non c’è nulla di torbido nelle azioni di Google. Nelle condizioni d’uso il colosso del web avvisa l’utente riguardo al trattamento automatizzato dei dati da parte del proprio sistema. Google mette l’accento sull’ impersonalità del servizio, sottolineando che gli unici umani ad avere accesso ai server sono gli ingegneri elettronici di Gmail. Quando l’account viene sottoscritto, si accetta implicitamente l’invio di pubblicità personalizzata e la predisposizione di filtri anti-spam. Ma non è questo a turbare i 425 milioni di utilizzatori. Il timore, avvalorato dalle dichiarazioni di Snowden, è che Google lavori a stretto contatto con la NSA. A questo riguardo va precisato che all’agenzia governativa interessano i metadati, cioè quelli riguardanti l’identità del mittente e del ricevente oppure l’ora e il luogo dell’invio. Il contenuto vero e proprio del messaggio non è particolarmente rilevante.