Due proiettili calibro 7.65 chiusi dentro una busta gialla affrancata e affidata alle Poste Italiane. E’ il messaggio intimidatorio che la camorra ha fatto pervenire al network Metropolis nei giorni scorsi. La busta, oltre al piombo, conteneva anche un messaggio stampato su un foglio A4. Poche righe sgrammaticate e cariche di insulti, indirizzate al direttore di Metropolis Tv, Giovanni Taranto, e riferite ai contenuti della prima edizione della trasmissione televisiva dal titolo “Cosa loro”, un viaggio dentro la camorra dell’area vesuviana da Castellammare a Ercolano, passando per Torre Annunziata e Torre del Greco.
Non è la prima volta che i boss della malavita organizzata scelgono la strada del terrore per mettere a tacere i giornalisti “scomodi”. Il copione è quello
solito: lettere, minacce urlate in strada o attraverso la cornetta del telefono, attentati incendiari, i classici proiettili infilati in una busta. Tutto fa brodo pur di seminare paura tra i cronisti, invitandoli, con le
cattive, a posare penne e taccuini: “so dove abiti, vengo lì e ti ammazzo”.
Minacce, minacce. Sempre minacce. Che il più delle volte sortiscono il risultato opposto. Spingendo chi scrive a centuplicare i propri sforzi per il bene della collettività. Nel segno della legalità.
Metropolis, da questo punto di vista, è un esempio lampante. Gli “attentati” alla libertà di stampa del quotidiano-Tv di Rovigliano non si contano più. Ma mai, neppure per un istante, i redattori del noto network oplontino hanno pensato di arrendersi. Va detto, comunque, che il “foglio” diretto da Giuseppe Del Gaudio si trova in buona compagnia. E’ capitato, infatti, anche ad altre realtà editoriali della Campania ritrovarsi, da un giorno all’altro, bersaglio designato di
guardaspalle e fedelissimi della camorra. Da Napoli a Caserta l’elenco è lunghissimo. Citare tutti i casi sarebbe un’impresa. Proviamo, allora, a ripassare almeno quelli più recenti. E ripartiamo proprio da Metropolis quotidiano.
Alla fine dello scorso anno, il clan D’Alessandro piombò nelle edicole di Castellammare di Stabia vietando la vendita del giornale che aveva pubblicato la notizia del pentimento del killer Salvatore Belviso imputato nel processo per l’omicidio del consigliere comunale del Pd, Luigi Tommasino. E lavorava sempre per Metropolis il fotoreporter che, nel marzo del 2011, fu preso alle
spalle e brutalmente aggredito con calci, pugni e schiaffi fino al punto di fargli perdere i sensi solo perché, armato di macchina fotografica, stava
documentando un fatto di cronaca a Sant’Egidio del Monte Albino, piccolo Comune in provincia di Salerno, dove era stato rinvenuto il corpo senza vita di un uomo. Tre mesi più tardi, ancora a Castellammare, un operatore di Metropolis Tv finì al pronto soccorso del locale ospedale San Leonardo dopo essere stato
picchiato e rapinato durante i funerali di un 19enne morto per un incidente in moto.
A Ercolano, invece, nell’aprile dello scorso anno, i redattori della radio che porta il nome di Giancarlo Siani, il cronista de “Il Mattino” trucidato dalla
camorra il 23 settembre 1985, vissero un brutto quarto d’ora quando, negli studi dell’emittente ospitata in un appartamento al corso Resina, un tempo
dimora del boss Giovanni Birra (a capo dell’omonimo clan), fece irruzione un sorvegliato speciale ritenuto dai carabinieri affiliato proprio a quel clan.
Per fortuna il balordo fu bloccato dai carabinieri.
Ancora. Poco più di un anno fa, per le sue coraggiose inchieste contro i clan dell’Aversano, toccò a una delle giornaliste di punta della “Gazzetta di Caserta” subìre le minacce di un ras di Terra di Lavoro, poi assicurato alla legge. E sempre a Caserta, nel 2011, la camorra, evidentemente “colpita” a fondo dalle inchieste di “Cronache”, pensò bene di reagire dando alle fiamme l’auto della cronista di nera del quotidiano.
Tornando un po’ più indietro negli anni, nel 2007, capitò a due redattori de “Il Giornale di Caserta” fare la conoscenza dei metodi intimidatori utilizzati
dalle cosche malavitose per zittire i giornalisti. Anche in quel caso, dopo le “minacce”, i boss passarono alle vie di fatto bruciando un camion del mobilificio di proprietà di un parente stretto di una delle due vittime. Quasi in contemporanea, a pochi chilometri di distanza, il terrore bussò anche alle porte del quotidiano partenopeo “La Verità-Napolipiù balzato”, è proprio il caso di dirlo, agli onori delle cronache per le sue scomode inchieste contro i clan di Forcella, all’indomani del brutale omicidio della povera Annalisa
Durante. Anche in quel caso le minacce si alternarono a lettere minatorie fatte recapitare direttamente in redazione, con tanto di “corredo” di proiettili. A farne le spese fu uno dei neristi di punta del quotidiano diretto da Giorgio Gradogna,
minacciato di morte assieme al noto prete anti-camorra don Luigi Merola, che lo aveva affiancato
nella sua battaglia di legalità.
Il caso della neo senatrice del Pd, la giornalista de “Il Mattino” Rosaria Capacchione, che a causa del suo lavoro di cronista di giudiziaria (e per la sua attività contro la camorra), è stata più volte minacciata di morte, è probabilmente – visto anche il nome della testata – uno dei più celebri. Ma non è l’unico. Secondo alcune stime di Ossigeno (l’Osservatorio dei giornalisti
minacciati in Italia, promosso da Fnsi e Ordine), infatti, nel 2013 si sono registrati in Campania 2 casi di intimidazioni con ben 19 giornalisti coinvolti mentre, nel 2012 i casi registrati furono 25 con ben 109 coinvolti giornalisti coinvolti. Cifre tremende che sanno tanto di bollettino di guerra. E che la dicono tutta sulla difficoltà di fare informazione in una regione martoriata da faide e malaffare come la “Terra Felix”. Cifre che, al tempo stesso, esprimono tutto il coraggio e la tenacia che anima quanti, spesso
animati solo da passione e amore per il proprio mestiere, non hanno mai abbassato la testa di fronte alla prepotenza. Neppure per un istante.