Cara direttrice,
a scriverle è un gruppo di giornalisti precari riuniti nel coordinamento “Errori di stampa”.
Quando è stata nominata come direttore generale della Rai abbiamo sperato che questo cambio al vertice nella più grande azienda editoriale italiana potesse essere il segno di una volontà di miglioramento rispetto al passato. Più precisamente, abbiamo sperato che la sua nomina fosse l’inizio di un’inversione di rotta nelle politiche interne all’azienda, anche e soprattutto nei confronti di chi, di questa azienda, è l’anima e lo scheletro insieme: i suoi lavoratori. Molti dei quali, circa 1600, sono precari.
Sappiamo che più della metà dei “precaRAI” sono giornalisti, ma è impossibile conoscere il numero esatto. La politica di via Mazzini, infatti, da anni, è quella di assumere i giornalisti che lavorano per i programmi di rete e non di testata con contratti-truffa come quelli da “consulente”, “presentatore-regista” o “programmista-regista”. Etichette dietro alle quali, nella gran parte dei casi, si celano redattori che svolgono attività puramente giornalistica. Assunti però senza uno straccio di tutela, pagati a partita iva e a puntata, a fronte di fatture in cui è vietata inserire la voce Inpgi, l’istituto di previdenza sociale giornalistica.
Non dimentichiamo la sua firma sull’accordo sindacale che stabiizza i bacini A e B di precari interni, segnale in sè positivo e rivoluzionario rispetto al passato. Ma crediamo che per parlare davvero di miglioramento nel servizio pubblico nazionale qualcosa in più debba essere fatto.
Per questo le chiediamo di porre fine al proliferare di contratti “ultraleggeri”, di sostituirli con scritture più’ serie, realisticamente rispondenti alle mansioni del lavoratore. E di stralciare dal testo la penosa “clausola gravidanza” contenuta al punto 10 del contratto di consulenza.
Sull’interpretazione di quel punto non ci sono dubbi: se una donna rimane incinta la Rai potrà valutare l’incidenza della gravidanza sulla produttività della lavoratrice e, se questa ne risultasse compromessa, si riserva sostanzialmente di risolvere il contratto. In Rai, quindi, l’azienda editoriale che lei dirige, non solo i giornalisti sono “consulenti”, pagati a cottimo e costretti a versare Inps o Enpals al posto dell’Inpgi. Ma hanno anche l’umiliazione di sapere che scegliere un figlio potrebbe implicare la rinuncia coatta al lavoro.
Noi riteniamo che quella clausola sia retrograda e illegale. È un ostacolo formale vergognoso al raggiungimento di condizioni di reale eguaglianza fra lavoratori (precari) e lavoratrici (precarie): una palese violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Siamo convinti che lei non possa non essere d’accordo con noi.
Per questo, Direttrice Lei, le chiediamo non solo di eliminare i contratti-truffa di consulenza, ma anche di cancellare da tutti i contratti Rai l’insopportabile “clausola gravidanza”. Sarebbe un gesto di civiltà concreto e tangibile di un direttore-donna nei confronti delle tante lavoratrici già sufficientemente umiliate da un’azienda che le paga a gettone.
Direttrice Lei, in riferimento ad Adriano Celentano presente sul palco dell’Ariston, lei ha chiesto che l’ultima sera del Festival prevalessero “buon senso e correttezza”. Noi crediamo che buon senso e correttezza debbano prevalere non solo in una serata, ma in tutte le trasmissioni e per tutti i contratti della Rai.
Restiamo in attesa di un suo positivo riscontro.
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