Il giudice monocratico del Tribunale di Locri ha condannato la “Finanziaria Editoriale srl” al pagamento delle spettanze non corrisposte alla giornalista Cesarina Riccio, collaboratrice da Roccella Jonica de “Il Quotidiano della Calabria”. Lo riferisce il portale NtaCalabria.it citando una fonte dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria.
Cesarina Riccio, scrive Nta Calabria, dopo oltre un anno di collaborazione (114 tra servizi e articoli regolarmente pubblicati da “Il Quotidiano della Calabria”), ha detto basta alle promesse di pagamento non mantenute, ponendo, così, fine ad una situazione di sfruttamento che offendeva la sua dignità umana e professionale.
Iscritta nell’elenco Pubblicisti dell’Ordine dei giornalisti della Calabria dal 9 luglio 2010, si è rivolta al Sindacato Giornalisti della Calabria per rivendicare le spettanze maturate dal giorno di iscrizione all’Albo: sei mesi di collaborazione, da luglio a dicembre 2010.
Nella memoria di costituzione, la Finedit ha addirittura sostenuto che nessuna autorizzazione e/o richiesta era stata fatta dalla società convenuta, arrivando ad affermare di non avere alcuna cognizione dell’attività svolta da Cesarina Riccio. Tesi, questa, naturalmente smentita dall’evidenza dei fatti: gli articoli pubblicati nell’arco di oltre un anno a firma della giornalista.
Nella causa civile di primo grado, in parziale accoglimento delle richieste avanzate dalla giornalista (che aveva chiesto l’applicazione del tariffario), rappresentata e difesa dall’avv. Mariagrazia Mammì dell’Ufficio Legale del Sindacato Giornalisti della Calabria, il giudice Marcello Foti ha condannato la “Finanziaria Editoriale srl” al pagamento di euro 2607,50, oltre agli interessi delle singole scadenze.
“Il caso di Cesarina Riccio, – sottolinea il segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, vicesegretario nazionale Fnsi – che è solo l’ultimo in ordine di tempo, non fa altro che confermare il dovere del giornalista, o aspirante tale, di non derogare al diritto di farsi pagare. Accettare di lavorare gratis o, peggio, sottostare all’umiliante via crucis a cui molti vengono costretti per rivendicare le spettanze dovute non rientra certo tra i dettami della deontologia professionale”.