TLC-ICT

Giornali online, troppa pubblicità: la risposta del New York Times

Gli annunci pubblicitari nei giornali online hanno raggiunto una mole esasperante. Non c’è da meravigliarsi se gli ad blocker prolificano, ma la contromossa del New York Times potrebbe tracciare una nuova rotta

La pubblicità è troppo presente nel mondo dei giornali online? La domanda è più che lecita se si visita uno qualsiasi dei siti dei più grandi quotidiani, in Italia così come in tutto il mondo. In particolar modo per quanto riguarda i video pubblicati, che per essere visti richiedono qualche secondo di pazienza per poter essere informati su ciò che interessa. E la cosa rischia di essere particolarmente grottesca quando si cerca di vedere un servizio di cronaca, ad esempio sugli attentati delle ultime settimane, e uno spot vuole suggerire mete per vacanze o gelati e bevande per rinfrescarsi sulla spiaggia.

Non stupisce più di tanto, allora, che 1 utente su 5 nei principali mercati occidentali faccia ricorso agli ad blocker durante la navigazione sul web. A dirlo sono i dati raccolti nel Digital News Report 2016, che sottolineano anche un altro aspetto di particolare importanza: a utilizzare i programmi che bloccano le pubblicità online sono soprattutto i giovani. A questo punto verrebbe da chiedersi, con buona pace degli editori digitali, se l’overdose di messaggi promozionali non possa essere addirittura controproducente per i loro affari.

Perché se è vero che più pubblicità porta più consapevolezza di un prodotto (e non più vendite), è anche vero che il suo inserimento in un contenuto va studiato attentamente. E forse gli algoritmi da soli non riescono a fare un buon lavoro. Il risultato? La gente, pian piano, si stufa.

L’idea di riempire i contenuti digitali di pubblicità, come spesso accade, viene dagli Stati Uniti. Ma da lì arriva anche una possibile soluzione al problema: il New York Times ha annunciato il lancio del primo abbonamento digitale privo di pubblicità. In pratica il sistema per fare a meno di annunci fastidiosi è quello di pagare. Perché, come ha spiegato l’amministratore delegato del New York Times, Mark Thompson, il giornalismo apprezzato dai lettori “ha dei costi reali e va pagato”.

Editori e ad blocker sono da sempre nemici giurati. Con il moltiplicarsi di utenti che ne fanno uso, secondo i dati raccolti da Ovum, sarebbero andati in fumo ben 24 miliardi di dollari. Ma sono dati che probabilmente hanno bisogno di qualche aggiustamento: troppa pubblicità non porta agli aumenti attesi delle vendite (almeno in proporzione) e quindi anche il prezzo delle stesse inserzioni tende a diminuire. Sicuramente parte dei ricavi è andata persa, ma l’equazione fatta fin qui da troppi editori “più pubblicità = più introiti” risulta fondamentalmente inesatta. E questo errore di valutazione, alla fine, nuoce a tutto il comparto.

Recent Posts

Gedi, l’ultima cessione di Elkann: pronto a cedere Repubblica

John Elkann ha intenzione di vendere Repubblica. E con l’eventuale cessione del quotidiano, Gedi verrebbe…

17 ore ago

L’Ifj contro Israele: “46 giornalisti morti a Gaza”

I governi vanno ritenuti responsabili delle morti dei giornalisti: lo afferma l’Ifj, la Federazione internazionale…

18 ore ago

Il sogno del Papa: “Una comunicazione di pace”

Il Papa vuole che si cominci a fare la pace partendo dalla comunicazione, dall’informazione, dal…

4 giorni ago

Askanews, ora i giornalisti chiamano il sottosegretario Barachini

Il comitato di redazione di Askanews “chiama” il sottosegretario Alberto Barachini. I giornalisti dell’agenzia di…

5 giorni ago

I pubblicitari contro la web tax: “Colpirà le piccole aziende”

Anche i pubblicitari si oppongono alla web tax: Federpubblicità snocciola numeri, dati e cifre per…

6 giorni ago

Aie vuole incontrare Giuli: “In manovra non c’è niente per il libro”

La manovra non piace agli editori perché non c’è “niente per il libro”. E l’Aie…

6 giorni ago