Il futuro dei giornali di carta è quantomai incerto e Aspenia ripropone il dibattito su quale sarà l’esito finale: Ezio Mauro è ottimista, Bill Gates e Giuliano Ferrara lo sono meno. Ma per alcuni alla fine sarà proprio la carta stampata a prevalere
I prossimi anni vedranno la fine dei giornali? L’interrogativo è ormai piuttosto datato, è da molto che addetti del settore ed esperti si pongono questa domanda, e finora non sembra essere chiaro fino in fondo cosa ha in serbo il futuro per la carta stampata. In occasione del suo ventesimo compleanno, Aspenia ripropone l’ampio ventaglio di opinioni pubblicando alcuni saggi e conversazioni del passato ma ancora oggi di grande attualità.
Tante le posizioni prese da illustri personaggi nel corso degli anni. Ezio Mauro e Jean Daniel del Nouvel Observateur, ad esempio, confidano in un radioso futuro per i giornali di carta. Qualcun altro invece, come Bill Gates o Giuliano Ferrara, è convinto che il futuro della stampa non possa durare più di una cinquantina di anni. Anche se proprio Ferrara afferma anche che “i giornali potrebbero diventare come le lettere di una volta, mittenti e destinatari con un’altissima specializzazione di scrittura e lettura”.
Meno netta la posizione di Wolfgang Munchau, editorialista di Financial Times, Spiegel e Corriere della Sera, secondo cui non è detto che i giornali siano di fronte a un declino inevitabile. Il loro successo passa inevitabilmente “dalla capacità dei quotidiani di reinventarsi continuamente” facendo affidamento su una comunità di lettori fedeli, afferma nel dibattito tra cinque protagonisti dell’informazione riproposto dalla rivista.
Ma c’è anche un’altra possibile risposta: alla fine la stampa scritta “prevarrà”. Ne è convinto l’americano Walter Isaacson, ex numero uno della Cnn e caporedattore del Time. Il presidente, nonché amministratore delegato di Aspen Institute, va dritto al problema della sostenibilità economica dei quotidiani di carta: “la cosa essenziale per continuare a competere è creare un prodotto per cui la gente sia disposta a pagare. Se la gente non è disposta a pagare un prodotto, nel nostro caso riviste e giornali, significa che non gli attribuisce più alcun valore”, conclude Isaacson.