Si
fa presto a dire piccola editoria. Ma poi, cosa significa realmente piccola
editoria? È solo un problema di dimensione o di mercato? E poi, i consumatori
della piccola editoria sono gli stessi della grande? È giusto fare chiarezza e
per questo abbiamo intervistato Enzo Ghionni, Presidente Italiana Piccoli
Editori.
Presidente,
qual è lo stato della piccola editoria nel nostro Paese?
Anzitutto
è necessario differenziare sotto il profilo concettuale la piccola editoria da
quella grande. Cosa è un grande libro, cosa è un grande giornale. E, per
differenza, cosa è un piccolo libro o un piccolo giornale. Non è un problema
di dimensioni ma di interessi sottesi. Allora la piccola editoria, o quella così
definita è quella autonoma. Autonoma dalla politica e dai gruppi industriali
italiani. Insomma, distante dal salotto buono. Questa distanza rende
l’editoria c.d. minore più vicina ai lettori. Ma ciò è garanzia di libertà.
Lo stato di questa editoria è di estrema difficoltà.
Da
cosa sono penalizzate le nostre piccole imprese editoriali?
Il
mercato dei lettori e della pubblicità è asfittico. Per i piccoli, come per i
grandi editori. Ciò è dovuto alla scarsa propensione alla lettura ed
all’attenzione che i centri media hanno per l’emittenza radiotelevisiva.
Proprio perché i non lettori sono spettatori. Ma per gli editori autonomi il
problema si acuisce per le dinamiche distributive che privilegiano i c.d. grandi
editori che hanno ritagliato il sistema come un vestito su misura. Inoltre,
l’autonomia dalla politica si trasforma in indifferenza della stessa verso una
politica di sostegno equilibrata e di lungo periodo. Continue variazioni in
finanziaria sono una testimonianza di ciò.
Anche
il mondo dell’editoria ha sposato una concezione globalistica di cultura, in cui
a contare, a "fare il mercato", sono i grandi numeri, i nomi
importanti, le tematiche di attualità contingente. È d’accordo?
Non
mi addentro nel concetto di mercato. Ma l’informazione e la cultura non
possono essere un semplice prodotto. La sola idea di un Ikea dell’informazione
è antitetica al concetto stesso di democrazia. L’uomo cresce per le
differenze. L’uomo cresce per il confronto. L’uomo non cresce con
l’omologazione. E se tutto è rimesso al mercato, sic et simpliciter, e
l’informazione verrà trattata come un dentifricio, l’informazione diventerà
un fatto di marketing. Le valutazioni su un prodotto editoriale partiranno e
moriranno su una valutazione riferita al consumatore: vù cumprà. E poi sarà
promosso da bianchi sorrisi a trentadue denti. Ma non ci sarà nulla da ridere.
Sembra
che i piccoli editori aspettino soltanto l’occasione per mostrare e diffondere
le loro opere. È d’accordo?
I
piccoli editori, ma torno a dire, gli editori liberi vivono per esprimere il
proprio lavoro. Lo fanno a prescindere dall’occasione. La caparbietà è la
loro forza. È vero devono imparare che il prodotto editoriale è anche, ma non
solo, un prodotto. E devono lavorare di più sull’interazione con il mercato.
E
dal punto di vista dei consumatori? Sono abbastanza maturi per una editoria di
nicchia, ricercata, non urlata e non dai grandi numeri?
I
consumatori, ma preferirei il termine cittadini, sono la premessa del lavoro
degli editori liberi. E sicuramente sono maturi. Sono la forza di questo mondo.
Ma in una società omologato sono una minoranza. Ecco, noi lavoriamo per queste
minoranze.
Attraverso
quali iniziative crede che l’editoria di nicchia, quella piccola e
indipendente, potrebbe emergere maggiormente e godere di quella visibilità che
tutto il “movimento” merita?
Attraverso
l’aggregazione, la creazioni di reti e di sinergie. Ciò non deve significare
perdere le specificità dei singoli prodotti che sono il patrimonio individuale,
alla base del concetto stesso di pluralismo. Non è semplice perché le
difficoltà sono tali da rendere difficile la quotidianità. Ma sono ottimista.