Subito una riforma dell’editoria. E’ l’appello di Enzo Ghionni, presidente della File (Federazione italiana liberi editori), che chiede una legge per superare la crisi in atto nel settore. L’esperto spiega che non c’è tempo per organizzare in Italia gli Stati generali dell’editoria, come fatto in Francia, ma i cinque pilastri del lavoro transalpino sono la base ideale per riformare il sistema italiano. Ghionni ha curato la prefazione degli “Stati generali dell’editoria in Francia”, edito su Diritto ed economia dei mezzi di comunicazione, rivista diretta da Astolfo Di Amato dell’Università di Napoli Federico II.
In Francia hanno organizzato gli Stati generali dell’editoria: sarebbero utili anche in Italia?
Secondo me, quando non si sa che cosa fare, si organizzano gli Stati generali. Personalmente credo che sia un sistema per perdere tempo e soldi.
Quale azione serve allora per affrontare la crisi del settore?
La riforma passa attraverso la legislazione ordinaria. Il Parlamento ha la funzione specifica che, volendo, può essere fatta velocemente. Basterebbe soltanto un’indagine conoscitiva presso le imprese e gli operatori del settore. Nelle conclusioni del lavoro francese c’è un passaggio fondamentale:’Occorre fare presto’.
Lo stesso vale anche per l’Italia?
Bisogna fare prestissimo. La crisi è dirompente. Non bisogna perdere tempo intorno ad aspetti secondari. Non decidere vuol dire far morire il settore. La situazione in Francia è pesante. Da noi è peggiore. Siamo in una fase delicatissima.
Può fare un esempio?
Mentre in Francia la quota del mercato pubblicitario destinata alla stampa è pari al 34,7 per cento, in Italia la stessa è pari al 32,5 per cento. Mentre in Francia le copie di quotidiani diffuse per ogni mille abitanti sono 128, in ltalia sono 93. Non dimentichiamo che in Italia c’è un’anomalia: a dominare la raccolta pubblicitaria sono le Tv, mentre all’estero accade il contrario, ossia la stampa ha la quota maggiore.
Perché è stato fatto un focus sulla Francia?
Perché tutti pensano che l’Italia sia un unicum a livello internazionale, mentre non è così. Lì il finanziamento pubblico in favore di giornali ammonta a un miliardo di euro. Inltalia la spesa a favore del sistema è inferiore.
Come giudica l’ultimo emendamento del Senato, che ha votato il ripristino dei fondi perii biennio 2009-2010 a favore di giornali di partito e cooperative sulla base di 70 milioni l’anno?
E’ un segnale molto positivo, anche se non sufficiente.
Dopo che cosa accadrà?
Difficile saperlo. Ripeto : solo con una riforma si può affrontare il futuro. Una riforma garantirebbe fondi almeno per un quinquennio.
Nel lavoro francese si parla di cinque pilastri: potrebbero essere le basi su cui poggiare la riforma italiana?
Sì. Basta vedere le conclusioni. I cinque pilastri valgono per qualsiasi Paese del mondo: in Francia come in Italia, come negli Stati Uniti.
Vediamo il primo: che vuoi dire reinventare la stampa nell’epoca digitale?
In genere un nuovo sistema, nella fattispecie Internet, tende a rendere obsoleto il vecchio, nel nostro caso la stampa. Più che reinventare la stampa occorrerebbe rivedere il modello di business dell’informazione. Il web non è un rischio. Non è un’alternativa alla stampa. Il problema è di chi fa informazione, dei produttori di contenuti.
Altri due pilastri: difendere i valori e le professionalità dei giornalisti e conquistare nuovo pubblico.
La persona è insostituibile nel nostro mestiere. Serve però un diverso approccio professionale. I giornalisti devono tornare per strada. Basta con l’autoreferenzialità e con l’accreditamento verso la politica. Non bisogna tutelare il potere, ma controllarlo. Serve più spirito critico e curiosità, oltre a saper scrivere. Bisogna poi catturare l’attenzione dei giovani.
E’ possibile una soluzione di mercato per risolvere le difficoltà del comparto?
Il mercato consente di sopravvivere solo a quelle imprese che raggiungono dimensioni importanti, rivolte a un pubblico ampio, mentre il pluralismo è per definizione tutela delle diversità. Le imprese devono andare verso il mercato, ma il mercato non accetta un sistema pluralistico. Altrimenti si corre il rischio di una concentrazione foltissima, come nel caso dell’emittenza radiotelevisiva.