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Getty Images si arrende alla pirateria online. Parte dell’archivio presto gratis

È La più grande agenzia fotografica del mondo. O almeno una delle più importanti. Adesso il suo prezioso contenuto è gratis. Non per intero, ma quasi. Del suo archivio da oltre 80 milioni d’immagini almeno 35 perderanno il watermark, quel logo in trasparenza, sorta di timbro digitale, che rende inutilizzabile lo scatto e si può togliere solo acquistando la singola immagine o pagando un abbonamento per accedere a uno dei più pachidermici archivi d’immagini (ma anche video e musica) del pianeta. Oppure sgraffignando lo stesso scatto tramite i motori di ricerca. Tutto superato. Buona parte della library diventa ora free, libera, a disposizione di chiunque, dal piccolo blogger alla grande testata editoriale. Purché non ne venga fatto un uso prettamente commerciale, cioè legato a pubblicità e marketing. Una mezza rivoluzione, praticamente quello che è successo nel mondo della musica: Getty Images diventa lo Spotify dell’iconografia in Rete. Alla base c’è l’ammissione di una debacle epocale, quella contro l’uso illegale delle foto online. Ma anche la voglia di trovare nuove soluzioni imparando da altri settori che sembrano essere usciti dal tunnel dell’illegalità. Almeno in parte. “Non siamo riusciti ad arginare la pirateria – ha spiegato Craig Peters, vicepresidente senior dell’agenzia statunitense – siti, blog, social network: chiunque diventa editore e condisce i contenuti con immagini prelevate su Internet, con un semplice clic del tasto destro del mouse. Molti lo fanno in buona fede, perché non conoscono le norme del copyright. Altri se ne infischiano. D’altronde trovare immagini senza il watermark è semplice, basta andare su Google o Bing e fare uno screenshot”. Il parallelo è un po’ con quanto accadeva alla musica prima che arrivassero i servizi freemium in streaming: fornire agli utenti un’opportunità, più comoda, veloce e soprattutto legale, di usare delle belle immagini. Sia legate all’attualità che alla storia così come generiche. Come? Sposando la strategia che YouTube applica alla sua sterminata babele video: consentendo cioè di incorporare gratuitamente la foto in un post, su un sito, in un articolo. Incorporare, attenzione, non inserire. In calce alla foto apparirà una stringa con i crediti e un link che riporterà al sito di Getty, magari per acquistare la stessa immagine a qualità superiore e per altri fini, o a un altro target sponsorizzato. Cosa ci guadagna l’agenzia? A una prima riflessione, dati e pubblicità. Esattamente secondo il modello YouTube o Spotify. È una scommessa pericolosissima ma l’idea è più o meno quella di recuperare il controllo della propria libreria d’immagini grazie al codice iframe utilizzato anche da Twitter per consentire l’embedding dei post o da Flickr. L’uso di quei codici da parte degli utenti permetterà a Getty di raccogliere informazioni e, volendo, veicolare pubblicità. O ancora togliere di mezzo la singola foto qualora nascessero problemi. Creando però – e questo è il problema più pesante, anche se non è il momento di affrontarlo – un buco in tutti quei post e articoli che avranno incorporato quella specifica foto poi rimossa. Magari quelli più vecchi. “Abbiamo pensato sia ai dati che alla pubblicità” ha aggiunto Peters illustrando le mosse future. Anche se per la fase iniziale di questo piccola-grande stravolgimento non se ne parlerà. La decisione non sembra fra l’altro direttamente legata alla situazione economica del gruppo. Fra 2007 e 2011, grazie soprattutto alle licenze digitali, i profitti sono aumentati di 100 milioni di dollari. Anche se il grosso è stato fatto a danno dei fotografi professionisti, i cui compensi sono stati tagliati in scioltezza grazie ad accordi assai più leggeri con freelance e amatori. Ennesimo problema per gli esperti, già bombardati dal boom dei fai-da-te e dal successo delle stock agency che propongono petbyte di foto a bassissimo costo. Il passaggio sembra tuttavia prevalentemente strategico, legato a un modo diverso di vedere il copyright sul web: “Prima che ci fossero iTunes o Spotify le persone erano sostanzialmente forzate a fare la scelta sbagliata, condividendo i file” sui client peer-to-peer, ha spiegato il vicepresidente, citando anche altri servizi presi a modello come Soundcloud. “Abbiamo visto che YouTube è riuscita a monetizzare queste funzioni di embedding – ha detto Peters – non so se sarà il modello giusto per noi”. Il punto, tuttavia, è tentare di arginare il monumentale traffico online di immagini rubate dall’agenzia – spesso di pessima qualità, frutto di continui screenshot – con un contenuto autorizzato, gratuito, ma controllato dalla base. Non che non esistano già servizi di cosiddette stock image, cioè generiche o a tema, disponibili gratuitamente o quasi. Ma Getty è Getty: dentro ci sono decenni di storia del mondo aggiornata in tempo reale.  A quanto pare, nella nuova offerta gratuita dell’agenzia di Seattle finiranno anche le immagini di France Presse ma non le collezioni Reportage e Contour, serie più elaborate e raffinate. Non è il primo passo: qualche anno fa il gruppo aveva per esempio provato a sfruttare le potenzialità di Flickr senza grande successo.Via libera anche ai giornali, come ha confermato un portavoce al British Journal of Photograhy, nonché a blog o siti che facciano pubblicità tramite Google Ads. “Non lo consideriamo un uso commerciale – ha concluso Peters – il fatto che un sito generi delle entrate non limita l’uso gratuito. Lo limita invece se vengono utilizzate le nostre foto per promuovere un servizio, un prodotto o la loro attività. Allora dovranno chiedere la licenza”.

Fonte: www.repubblica.it

 

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