Una gavetta lunga tre anni, con la speranza verso il futuro. Ma questa generazione non riesce a guardare troppo in là. La chiusura del Denaro nelle parole di Mario Di Giorgio

Entro nel ‘mondo del lavoro’ per la prima volta nel 2009, all’età di 24 anni. Tutto quello che dovevo fare era un periodo di 25 giorni a titolo gratuito nell’area web del Denaro. Pian piano riesco a ritagliarmi un piccolo spazio e di tre mesi in tre mesi continuo la mia esperienza lavorativa (fatta di rimborsi spese e gavetta). La prima proposta seria l’azienda me la fa all’inizio del 2012, ma siccome già si parlava di crisi riesco a strappare solo una collaborazione esterna con partita iva. Premesso che ogni mese non sapevamo se avremmo preso lo stipendio, in azienda iniziarono a nascere le prime agitazioni.

Dopo pochi mesi si iniziò a lavorare gratis. Con la speranza di recuperare soldi nessuno andava via, anzi le persone lavoravano più del dovuto. Pur essendo passati con contratto di ‘solidarietà’ infatti tutti superavano le otto ore lavorative (invece delle sei previste dal contratto). Con il passare dei mesi la situazione continuava a peggiorare, fino al punto che alcune società dell’azienda vennero messe in liquidazione, e gli operai mandati a casa dalla sera alla mattina. Nel mio caso, io continuavo a mandare la fattura ogni mese, fingendo di essere un consulente esterno, senza però ricevere alcun compenso. Dopo quasi un anno senza stipendio, non potendo più sostenere la cosa, abbandono definitivamente.

La beffa finale è stata quella di dover pagare le tasse per quelle fatture emesse, senza che io avessi percepito nemmeno un euro. Dopo poco anche l’azienda per cui lavoravo viene messa in liquidazione, e inizia l’iter legale. Dopo circa due anni io in questi giorni ho scoperto che quasi sicuramente quei soldi li ho persi: il liquidatore non è riuscito a monetizzare dalla vendita dei beni della suddetta azienda ed essendo, legalmente, un collaboratore esterno, non ho alcun diritto. Da quando sono uscito dall’azienda non sono riuscito a trovare nessun lavoro degno di tale nome, ed anche come free lance con partita iva la situazione non è molto favorevole. Quella volta tanto qualcuno mi commissiona un lavoro, su ogni fattura io pago infatti complessivamente circa il 38% di tasse. Ovviamente il cliente, volendo risparmiare, preferisce andare da altre persone che può pagare in nero.

Purtroppo dopo un anno ad inviare curriculum, e dopo non aver trovato nulla, come fece la generazione dei miei genitori, pure io ho iniziato a mandare curriculum a Milano, ma anche dà lì nessuna risposta positiva. Io sono un web master e pur aggiornandomi di continuo sulle nuove tecnologie, spesso a mie spese, la situazione è davvero dura. L’idea di progettare una famiglia propria, o il solo pensiero di andare a vivere da solo spaventa tantissimo. Siamo la generazione del ‘carpe diem’, nella massima accezione negativa.

Mario Di Giorgio, web editor Denaro

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