Il Garante della Privacy richiama i giornalisti nel solco del garantismo: basta “manette” in prima pagina e online. Secondo l’autorità garante, infatti, non si possono mostrare le immagini di chi sia stato arrestato con “dettagli non essenziali” che finirebbero per lederne la dignità. Si rischiano sanzioni salate, come quella irrogata a un giornale italiano che, evidentemente non ascoltando il monito del Garante, ora dovrà pagare 20mila euro “per non aver rispettato un primo provvedimento di temporanea limitazione del trattamento, adottato, in via d’urgenza, nell’immediatezza della pubblicazione delle immagini”.
Non si tratta di un regolamento che discende da un’autorità governativa. Ma di una precisa norma contenuta all’interno del codice di procedura penale che, nel riconoscere i diritti all’indagato, vieta “la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta”. Da questa norma, poi, discendono i codici etici e i regolamenti che dall’articolo 114 del codice di procedura penale sono ispirati.
La svolta, come spesso accade in Italia sulle cose che paiono banali, è rivoluzionaria: perché, secondo il Garante, non basta pixellare le manette per salvaguardare la dignità della persona fotografata durante il suo arresto. Si tratta di dettagli e informazioni che vengono ritenute non essenziali. E inoltre il Garante ha invitato “ulteriormente tutte le testate che eventualmente continuino a divulgare simili immagini ad adeguarsi alle prescrizioni della normativa in materia di protezione dei dati personali”.
Marina Pisacane
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