Gli utenti non possono ottenere da Google la cancellazione dai risultati di ricerca di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico: il diritto all’oblio, infatti, deve essere bilanciato con il diritto di cronaca. Questa la decisione del Garante Privacy
[doc. web n 3736353] che ha respinto il ricorso di una persona che contestava la decisione del motore di ricerca di non deindicizzare un articolo che riferiva di un’inchiesta giudiziaria in cui risultava implicata. La persona indagata chiedeva di cancellare il riferimento all’articolo perché, a suo avviso, il testo riprodotto era “estremamente fuorviante ed altamente pregiudizievole”. Nel corso dell’istruttoria avviata dall’Autorità, è però emerso che la notizia contestata risultava essere molto recente e soprattutto di sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale. I dati personali riportati, tra l’altro, erano stati trattati nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione. L’Autorità ha quindi respinto la richiesta della ricorrente di bloccare a Google il trattamento dei suoi dati personali – non facendo più associare nei risultati delle ricerche il proprio nominativo all’articolo citato – in quanto, in questo caso, risultava prevalere il diritto di cronaca sul diritto all’oblio. Ha inoltre ricordato che la persona interessata, nel caso ritenga non veritiere le notizie che la riguardano, può comunque chiedere all’editore l’aggiornamento, la rettificazione e l’integrazione dei dati contenuti nell’articolo. Nell’ambito dello stesso procedimento si è posto, per la prima volta, anche il problema della coerenza con i testi originali scansionati dal motore stesso dei cosiddetti “snippet”, ovvero le sintesi automatiche generate da Google e poste a corredo dei risultati di ricerca. Il ricorrente aveva infatti chiesto a Mountain View che, in alternativa alla deindicizzazione, cancellasse o modificasse lo snippet che compariva sotto il link all’articolo, dato che secondo lui associava il proprio nominativo a reati più gravi rispetto a quelli per i quali era indagato. Dai riscontri del Garante è emerso che, in effetti, l’abstract proposto poteva risultare fuorviante in quanto non in linea con la narrazione dei fatti riportati nell’articolo. Tale richiesta, ritenuta legittima, è stata autonomamente accolta dalla multinazionale americana che ha così provveduto a eliminare il riassunto generato dal proprio algoritmo.