Le compagnie discografiche non possono costringere le aziende telefoniche a rivelare loro i nomi dei clienti che utilizzano sistemi di peer to peer, in modo da intentare loro causa per violazione del copyright. E’ questo il senso di due sentenze emesse dal Tribunale di Roma (Sezione IX civile, specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale) che ha accolto le istanze proposte dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali in due delicate controversie riguardanti il rapporto tra il diritto d’autore e la disciplina sulla privacy. Con due ordinanze, i giudici ordinari hanno rigettato i ricorsi che le società Peppermint Jam Records GmbH e Techland sp. Z o.o. avevano proposto nei riguardi di Telecom Italia e Wind Telecomunicazioni , con le quali chiedevano di ottenere i nomi di numerosi utenti di reti peer to peer. «Il pronunciamento della magistratura italiana inibisce Peppermint e chiunque altro da attuare il monitoraggio in rete» spiega Fiorello Cortiana responsabile innovazione della Federazione dei Verdi. Pronunciamento importante, sottolinea Cortiana ricordando che la vicenda riguarda decine di migliaia di utenti italiani, «perchè segna un principio giurisprudenziale: la rete di internet non è la terra di nessuno dove ognuno si fa giustizia da sè, anche in rete valgono i diritti di cittadinanza e anche in rete tocca alla magistratura e alle forze dell’ordine mettere in atto inchieste nel rispetto della legge». Ora, prosegue l’esponente dei Verdi, «quello che si stava configurando come uno spamming estorsivo, trova una robusta interruzione. Sarebbe stupido dire che ha vinto la pirateria. Piuttosto hanno vinto il diritto e le garanzie previste dalla legge per tutti i cittadini, famosi o meno che siano».
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