Si apre un nuovo fronte in Rai, al centro torna la polemica sul canone che l’amministratore delegato Carlo Fuortes non esclude di voler aumentare. Scatenando così la polemica politica da un lato e la reazione dei sindacati che, a fronte di un aumento non accetterebbero il piano di tagli che l’attuale dirigenza sta ponendo in essere in Rai.
Solo ieri si è tenuta l’audizione in commissione Lavori pubblici al Senato per la riforma Rai. L’ad, insieme al presidente Marinella Soldi, aveva già chiesto più risorse, meno polemiche e mandati più lunghi per poter stabilizzare la governance. Fuortes ha poi voluto soffermarsi anche sulla questione canone, da sempre uno dei tasti dolenti nel dibattito pubblico, quando si parla di Rai. L’ad ha spiegato. “Solo canone o canone e pubblicità? E’ una scelta politica. Rispetto alla situazione attuale, se nelle casse della Rai arrivasse l’intero canone derivante dai 90 euro molti dei discorsi che stiamo facendo non sarebbero fatti. Parliamo ogni anno di minori risorse pari a 240 milioni di euro”.
Ha dunque proseguito. “Se la parte di canone arrivasse integralmente probabilmente questo sarebbe sufficiente a gestire questa azienda in modo del tutto diverso.E’ assolutamente possibile avere un finanziamento solo con il canone, ovviamente non è pensabile che i 90 euro possano essere il canone, nel caso venga abolita la pubblicità, con cui si riesce a finanziare il servizio pubblico, quindi, dovrebbe essere senz’altro aumentato”. Parole chiarissime: volete il servizio pubblico senza pubblicità? Il canone va immediatamente aumentato. E, probabilmente, nemmeno di poco.
Anche perché, secondo Fuortes, il canone Rai è il più basso d’Europa. “Come noto, in un sistema di finanziamento duplice, la risorsa di gran lunga prioritaria è il ca: tuttavia, il relativo valore unitario è strutturalmente, come ben noto, il più basso in tutta Europa: novanta euro. Cifra che per Fuortes rappresenta “una somma distante da quelle degli altri Paesi al punto da rendere quasi irrilevante la compresenza compensativa, per Rai, della fonte integrativa degli introiti costituita dalla raccolta pubblicitaria”.
Dunque ha aggiunto. “Senza fare riferimento alla Svizzera e all’Austria, Paesi nei quali l’importo unitario è superiore o pari a 300 euro, o alla Germania e alla Gran Bretagna, nei quali è pari rispettivamente a 220 e a 185 euro, in Francia il canone ammonta a 138 euro, oltre il 50% in più rispetto all’Italia. Se, in aggiunta, si considerano le varie trattenute (tassa concessione governativa, Iva e Fondo per il pluralismo e l’innovazione, per effetto dell’ultima riforma, efficace dal 2021), dei 90 euro unitari Rai ne percepisce solo l’86 per cento, mentre negli altri Paesi (Regno Unito, Germania, Francia) i gestori del servizio pubblico percentuali comprese tra il 96 e il 98 per cento, quindi la quasi totalità”.
Ne consegue che “Il canone, quindi, è una risorsa incongrua rispetto agli obblighi e alle attività che la Rai svolge ed è tenuta a svolgere come certificato anche dalla contabilità separata, l’adempimento imposto all’azienda proprio per attestare il costo complessivo del servizio pubblico e fornire alle autorità competenti lo strumento indispensabile per consentire di assicurarne la piena copertura da parte appunto delle risorse pubbliche”.
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