FREQUENZE TV: ASTA PREVISTA ENTRO FINE AGOSTO, MA SOLO PER LE REGOLE CI VORRANNO MESI

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Esattamente quattro mesi fa, stremati per una logorante offensiva, i partiti di centrosinistra (pochi) e le associazioni di consumatori (molte) esultavano per un emendamento al decreto fiscale come se fosse il gol di Marco Tardelli ai mondiali spagnoli. Un emendamento di palazzo Chigi, mica la coppa. Un arzigogolato documento di tre pagine, però, annunciava l’asta (ora dispersa) e rimuoveva il beauty contest, la distribuzione ai soliti noti (Mediaset, Rai, La7…) di sei multiplex, cioè pacchetti di frequenze per trasmettere in digitale terrestre.
Il ministro Corrado Passera, a centrocampo stile Tardelli, forava la difesa di Cologno Monzese con queste parole in burocratese che, al tempo, suonavano trionfanti: “Al fine di assicurare l’uso efficiente e la valorizzazione economica dello spettro radio [… ] le frequenze sono assegnate mediante pubblica gara indetta entro 120 giorni dall’entrata in vigore del presente articolo”. Consiglio dei ministri, 16 aprile 2012 e Gazzetta ufficiale, 26 aprile 2012. Traduzione: caro Berlusconi, vuoi nuovi canali? Ah sì, devi pagare. Tutti devono pagare. E il governo calcolava incassi miliardari: due o tre, merce rara per avviare la banda larga. Mediaset non ci pensava proprio a scomodare il portafoglio bucato.
Tranquilli, non dovrà farlo. Perchè i 120 giorni sono passati e anche il regolamento scritto dai commissari Agcom – che doveva planare al ministero un mese fa – praticamente non esiste. Non vedrà spiragli di luce nemmeno nei prossimi mesi perchè l’Autorità di Garanzia non prevede discussioni o approfondimenti nei consigli di settembre. L’Agcom può presentare una giustificazione collettiva: ci siamo insediati a metà luglio, un attimino prima di fuggire per le vacanze, colpa di una lentezza nel certificare l’elezione (pardon, la spartizione) avvenuta in Parlamento a inizio maggio.
I centoventi giorni, adesso, ne richiedono più o meno centoventi per fare qualche passettino in avanti: l’Agcom dovrà cominciare le alchimie per accontentare le volontà (pubbliche) del ministro e assecondare le rimostranze di Mediaset;il ministero dovrà valutare il testo di Agcom, girare al mittente e attendere risposta, poi il bando sarà pubblicato. E ancora: le convocazioni, le tattiche, le tecniche.
Chi può immaginare l’asta per le frequenze durante la campagna elettorale primaverile?
Il ministero non ha fretta e non coglie l’occasione per strappare ai privati qualche miliardo di euro attraverso la vendita di un patrimonio statale, però, lo stesso ministero non ha esitato a rinnovare le concessione televisive per vent’anni. Sino al 2032. I tecnici di Passera hanno fotografato il sistema tv italiano senza aspettare la già famosa e laboriosa asta ex beauty contest ne il piano di riordino firmato Agcom e addirittura ignorando la Conferenza di Ginevra che raccomandava di rivedere lo spettro prima di congelare l’esistente per un ventennio. Nessuno scrupolo. E un muro intorno agli editori locali che si trascinano problemi di interferenza con i gruppi maggiori, e non potranno custodire speranze da qui al 2032.
Il rinvio fa il gioco di Mediaset, che non desidera accatastare canali a canali, ma che lotta duramente per evitare nuovi ingressi che possono intasare il mercato, soprattutto quello pubblicitario. La Rai si coccola l’antica alleanza con il Biscione e gli emissari di Mario Monti, il presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi, dovranno sfoltire gli sprechi (e le 13 reti in offerta gratuita) più che investire centinaia di milioni. Telecom convive con La7 perennemente in vendita e Sky si tiene stretta il mono-polio satellitare. Forse qualche editore esordiente nel settore, italiano o straniero, sarebbe interessato a fare televisione in Italia. Ditegli di ritornare l’anno prossimo per l’asta. O direttamente nel 2032.

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