La Cassazione ha comunque ribadito il carattere illecito delle foto scattate in una privata dimora
Al direttore del settimanale che acquista e pubblica gli scatti “rubati” dell’ ex premier Silvio Berlusconi a Villa Certosa in compagnia di giovani ospiti, non può essere contestato il reato di ricettazione se manca la prova di un vantaggio economico o di carriera. La Cassazione (sentenza 25363) annulla la condanna della Corte d’ Appello e rinvia per un nuovo giudizio.
I giudici trovano fondato il rilevo del difensore Caterina Malavenda, secondo la quale per sostenere l’ accusa di ricettazione non basta individuare l’ elemento del profitto – necessario per configurare il reato insieme alla consapevolezza – nel presunto aumento delle vendite per effetto dello scoop. E se il fine di lucro non può essere l’ incremento della tiratura manca un tassello. Ammesso che il direttore fosse consapevole della provenienza delittuosa degli scatti, sarà necessario dimostrare che da quelli ha tratto, per sé o/e per l’ editore un vantaggio almeno nella carriera se non patrimoniale. Ma così non sembra, visto che il ricorrente non fece passi avanti nell’ organico aziendale e lasciò la direzione un anno dopo lo scoop. La Cassazione ha comunque ribadito il carattere illecito delle foto scattate in una privata dimora e ricorrendo a mezzi “invasivi”come il teleobiettivo e il photoshop a dimostrazione che le immagini “captate” non sarebbero state visibili all’ occhio umano. La Suprema corte bolla come paradossale l’ argomento degli atteggiamenti privi di riserbo comportamentale» da parte delle persone fotografate, interpretati come una sorta di via libera alla violazione della privacy. La Cassazione chiarisce però che il diritto va rispettato a prescindere da come lo esercita il suo titolare.
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