C’era stato un primo incontro, il 19 gennaio, con i rappresentanti di governo per provare a intavolare un discorso per garantire il ripristino dei contributi ed avviare il discorso sulla riforma dell’editoria. Grande la soddisfazione al termine della riunione, ma poi non ci sono state più convocazioni. Il Governo, dal canto suo a più riprese ha continuato a proclamare la vicinanza al mondo dell’editoria, ed anzi ha anche allargato il discorso alle edicole ed in generale a tutta la filiera (clicca qui per l’articolo).
In settimana, però c’è stata finalmente la convocazione per un nuovo incontro da parte del sottosegretario all’Editoria Lotti: martedì 28 aprile sarà un giorno cruciale per tutto il comparto, ma quali sono le aspettative, quali richieste, quali passaggi saranno fondamentali? Lo abbiamo chiesto alla presidente della File, Caterina Bagnardi, che ci aiuta a tracciare un quadro di questi primi mesi ed i possibili scenari per il futuro.
Fondo pubblico e riforma dell’editoria. Dal Governo, dopo i buoni segnali lanciati fin da inizio 2015, arriva anche una nuova convocazione per il tavolo dell’editoria. Quali sono gli obiettivi che intendete esporre all’incontro?
L’obiettivo è la certezza. Certezza dei fondi 2014 e 2015 e il nodo principale che la riforma deve affrontare è quello di creare un quadro legislativo chiaro e trasparente basato ulla certezza dei rapporti giuridici.
A che punto siamo su questi passaggi?
Avevamo la certezza di essere convocati dopo Pasqua, ed ora è arrivata la convocazione del tavolo dell’editoria. Durante l’attesa siamo stati rassicurati più volte sull’interesse da parte del Governo di continuare il dialogo con tutti gli esponenti della filiera per garantire la vita del pluralismo in Italia.
La regolamentazione che avete in mente, e di cui si fa portavoce anche la campagna Meno giornali = Meno liberi, prevede il coinvolgimento dell’intera filiera dell’editoria e dell’informazione?
Tutta la filiera deve essere regolamentata, l’idea è quella di tutelare l’intera filiera perché solo così sopravvive il sistema: se ci sono i giornali e non ci sono le edicole, e viceversa, la situazione non migliora di certo. Allo stesso modo il trasporto, le cartiere, ogni nodo della filiera è importante e deve essere sostenuto per poter mantenere il pluralismo e la libertà di stampa. La campagna Meno giornali = Meno liberi ha registrato un buon successo e il successo maggiore è stato quello di aver potuto spiegare con chiarezza cosa sono i contributi all’editoria, a chi sono destinati e come sono ripartiti
La condizione in cui versano piccoli e medi editori è grave e non certo da poco tempo. Centinaia di testate vivono grandissime difficoltà e dall’inizio del dialogo nel 2015 sono passati quattro mesi: come stanno gli editori indipendenti?
Male, molto male. C’è una crisi profonda anche nella pubblicità che non dà ancora segnali davvero positivi, le vendite restano piuttosto stabili però non si riesce a sostenere il costo di un giornale. L’Italia continua ad essere uno dei Paesi a livello europeo caratterizzato dalla più bassa spesa pubblica a sostegno del pluralismo. Nella liberale Gran Bretagna il rapporto “digital Britain” evidenzia che il solo mercato non sarà in grado di garantire il pluralismo. Ma addirittura negli Stati Uniti il dibattito è volto a trovare strumenti idonei a garantire un’informazione libera e diffusa.
Sì, anche perché la salvaguardia della stampa indipendente è l’unica garanzia per un’informazione libera e che riesca a raccontare la grande varietà dei territori…
Il giornale locale va salvaguardato. I piccoli giornali hanno perso copie ma in maniera inferiore rispetto alle grandi testate. Questo dimostra, ancora una volta, che esiste un interesse dei cittadini ad una diversa informazione. Tolto questo ci potrebbero essere soltanto delle testimoniane lontane dalle province che verrebbero completamente silenziate.
Sulla riforma è stata fornita una tempistica? Ci sono delle aspettative condivise sui tempi ed i risultati definitivi di questo lavoro con il Governo?
Ripartire significa analizzare i problemi e gli errori del passato. Cercando la sintesi, gli elementi di criticità sono stati due: l’assenza di una pianificazione pubblicitaria da parte delle grandi imprese italiane e delle Istituzioni sui mezzi di minori dimensioni (non da ultima anche la campagna pubblicitaria, apparsa su tutti i mezzi, della Cassa Depositi e Prestiti, pianificata solo sui grandi giornali) e il sostanziale disimpegno dello Stato.
I risultati definitivi che vogliamo ottenere sono quelli di cui parlavo, la certezza del fondo 2014 e 2015. Per quanto riguarda la riforma, invece, speriamo venga presentato una prima bozza fondamentalmente basata su certezze volte a garantire il presente e il futuro dei giornali minori e non solo a garantire le ennesime ristrutturazioni dei grandi giornali.
Le risposte le avremo al tavolo.
John Elkann ha intenzione di vendere Repubblica. E con l’eventuale cessione del quotidiano, Gedi verrebbe…
I governi vanno ritenuti responsabili delle morti dei giornalisti: lo afferma l’Ifj, la Federazione internazionale…
Il Papa vuole che si cominci a fare la pace partendo dalla comunicazione, dall’informazione, dal…
Il comitato di redazione di Askanews “chiama” il sottosegretario Alberto Barachini. I giornalisti dell’agenzia di…
Anche i pubblicitari si oppongono alla web tax: Federpubblicità snocciola numeri, dati e cifre per…
La manovra non piace agli editori perché non c’è “niente per il libro”. E l’Aie…