Che l’informazione sia in un momento di confusione, e bene, questa è una certezza. Tra digitale, start up, innovazione, casse integrazioni, molte chiacchiere ed un’infinità di distintivi, ci sta un filo conduttore: il caos. E prendiamo tre fatti, tutti diversi, che convergono rapidissimi verso questa direzione. Il governo Monti poco prima di lasciare ha approvato una legge che, buona o non buona, ha contraddetto tutto quanto fatto dallo stesso in materia di liberalizzazione delle professioni, introducendo legge 233_2012 Equo Compenso. Una legge voluta dall’ordine dei giornalisti, che dovrebbe tutelare i terzi circa il corretto comportamento deontologico dei suoi iscritti, e mal digerita dalla federazione nazionale della stampa, che come sindacato, invece, avrebbe dovuto sostenerla. Dopo un anno e mezzo, ed i ripetuti tentativi di Legnini, i tentennamenti delle associazioni datoriali, gli ammiccamenti del sindacato e le incazzature dell’ordine si è arrivati ad un accordo che non ha fatto contento nessuno, ma era previsto da una legge. Ma per mettere benzina al fuoco, e si quella ci vuole sempre, qualcuno ha sostenuto che sulla trattativa riguardante l’equo compenso (ma di quale trattativa si parla?), consentiva di chiudere la partita riguardo la negoziazione per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico, tra Fieg (federazione italiana editori giornali) e Fnsi (federazione nazionale della stampa italiana). Un accordo, questo sì, che sottoscrivono in due e vincola tutti, anche i non aderenti né all’una né all’altra associazione, ma questa è una peculiarità di questo settore, ogni tanto l’antitrust ci butta l’occhio, poi dirotta i suoi interessi altrove. E fino a qua, diciamo, ci siamo, o quasi. Allora, ripetiamo, una legge prevede che il compenso ai collaboratori debba essere equo e liberalizzazioni a parte, ci può stare. Poi due parti sociali si incontrano e definiscono un accordo, e ci sta. Meno che un accordo previsto da una norma derivi da un libero negoziato, e viceversa. Poi arriva l’incredibile. Ossia che il tutto venga unito al fondo straordinario per l’editoria, previsto da una legge, e che il sottosegretario definisca con una sola associazione di categoria e con il sindacato un protocollo d’intesa che, avendo come presupposto l’assolvimento di una norma, quella sull’equo compenso, e di un contratto, decide come ripartire i fondi tra le imprese associate alla Fieg, dimenticandosi completamente non solo degli impegni assunti con le altre associazioni ma della stessa legge che ha istituito il fondo straordinario per l’editoria, che dice cose del tutte diverse.