Tra le tante questioni annose che riguardano il mondo dell’editoria, quella dei finanziamenti pubblici ai quotidiani è senza dubbio la più complicata.
Difficile orientarsi, infatti, nel groviglio di leggi, provvedimenti e delibere che regolamentano i criteri di erogazione dei contributi alle singole testate giornalistiche.
Ma proviamo a fare chiarezza.
Punto primo, esistono varie forme di contributi (diretti, indiretti o tutti e due insieme). Qualcuno può riceverli, altri ne sono esclusi, ma in tutti i casi ci sono numerose leggi di riferimento.
Nella loro forma diretta, i finanziamenti interessano solo tre tipologie di giornali: i giornali organi di partito, quelli editi dalle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche (tipo comunità italiane all’estero) che fanno riferimento a «enti morali».
L’elenco completo è consultabile sulla pagina web del Dipartimento per l’editoria, da cui si evince che in totale sono 45 i quotidiani che hanno ricevuto un tipo di finanziamento diretto.
Per capirci, l’importo maggiore è stato assegnato all’ Avvenire (con € 4.355.324,42 ), a seguire Italia Oggi (con € 3.904.773,62) e infine L’Unità (€ 3.615.894,65).
Invece tra quanti hanno ricevuto contributi in veste di imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali, ci sono 136 testate: tra quelle che hanno ricevuto più contributi ci sono: Famiglia Cristiana (€ 142.069,68), Rho Settegiorni (€ 127.551,95), Quaderni di Milano (€ 139.389,12), Il Giornalino (€ 136.708,56), Il Biellese (€ 121.326,79).
Spostandoci invece sul versante dei contributi indiretti, la questione si complica un po’.
Nella categoria rientrano, infatti, i quotidiani o i periodici che vanno sotto la definizione di prodotti “stampabili”, vale a dire che hanno indicato il prezzo di vendita in copertina o in un allegato comprendente anche il titolo e l’indicazione dell’editore.
Per questi è previsto un regime fiscale agevolato del 4 per cento sul 20 per cento delle copie stampate. Tale regime è detto “monofase” perché corrisposto una sola volta da un unico soggetto, ovvero l’editore.
Per di più fino al marzo del 2010 i contributi indiretti comprendevano anche delle agevolazioni postali per la spedizione degli abbonamenti: erano stati previsti nel dicembre del 2003 con il decreto legge n. 353.
Questo vuol dire che il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria provvedeva a rimborsare Poste italiane della somma corrispondente alle riduzioni complessivamente applicate: tali agevolazioni sono state sospese, ma i rimborsi pregressi dovuti a Poste non risultano ancora estinti.
Oltre a quelle postali sono state sospese anche le agevolazioni sul prezzo della carta stabilite in passato in base alle tirature medie.
Passiamo ora ad analizzare i contributi indiretti alle testate giornalistiche.
Questo tipo di erogazione interessa direttamente lo Stato che corrisponde la cifra pattuita alle imprese editrici che presentino una serie di requisiti.
Si tratta, in realtà, di un rimborso perché avviene l’anno dopo sull’anno prima , calcolato in base a diversi parametri (vendite, distribuzione, tiratura, costi o altro).
La prima norma organica sul finanziamento pubblico diretto è stata approvata nel 1981 con la legge 416 del 5 agosto.
Da allora in poi si sono susseguite una serie di ulteriori leggi che hanno reso il quadro piuttosto ingarbugliato.
Ma arriviamo direttamente alla legge 103 del luglio 2012 su cui si basano attualmente i finanziamenti.
Una norma nata con l’obiettivo di “razionalizzare l’utilizzo delle risorse, attraverso meccanismi che correlino il contributo per le imprese editoriali agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale”.
Coerentemente con i propositi, la legge è intervenuta in particolare, sui requisiti di accesso ai contributi, sui criteri di calcolo e sulla modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita. In particolare si stabilisce che la testata debba essere venduta nella misura di almeno il 35 per cento delle copie distribuite se è locale, e del 25 per cento se è nazionale.
“Si considera testata nazionale quella distribuita in almeno 3 regioni e con una percentuale di distribuzione in ciascuna regione non inferiore al 5 per cento della distribuzione totale”.
Questi requisiti si applicano a quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti, quotidiani editi da imprese editrici (la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro che abbiano avuto accesso ai contributi entro il 31 dicembre 2005) , quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
In più, per avere accesso ai contributi le imprese editoriali devono aver impiegato, nell’anno didi riferimento del contributo, un numero minimo di dipendenti, con prevalenza di giornalisti regolarmente assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato: almeno 5 se sono quotidiani, almeno 3 se sono periodici.
Inoltre è stato eliminato, per ottenere i contributi, il limite delle entrate pubblicitarie che non dovevano essere superiori al 30 per cento dei costi complessivi dell’impresa.
Insomma una bella stretta sui meccanismi della certificazione e dei controlli alle testate che vogliono avere accesso ai finanziamenti o che li hanno già percepiti.
Ma come siamo messi rispetto all’estero? Da una ricerca del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford sui sistemi di finanziamento pubblico all’editoria in vigore in 6 paesi occidentali (Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Finlandia e Stati Uniti) risulta che la situazione del nostro Paese non è poi così positiva. Ahinoi, quanto a stanziamenti, l’Italia figura addirittura nelle retrovie! Confrontando i dati ufficiali i ricercatori hanno dimostrato, infatti, che il Belpaese è penultimo come stanziamento pubblico complessivo a sostegno di stampa e tv pubblica, e ultimo come spesa pro capite (43 euro contro i 130 della Finlandia). Peggio che andar di notte…