Oggi si terrà a Roma l’ennesima tavola rotonda sui fondi pubblici all’editoria e sulle ragioni per mantenere o per eliminare il contributo pubblico all’editoria. E presumibilmente si diranno le stesse cose che si dicono da, oramai, vent’anni. Da un lato ci sarà chi, come noi, ma siamo più che palesemente in conflitto di interessi, chiederà di garantire per intero il finanziamento pubblico che è condizione essenziale per la sopravvivenza di centinaia di giornali; e chi, in nome dell’antipolitica e con il vento in poppa per i dubbi sulle risorse destinate all’Avanti, chiederà l’immediata abrogazione di ogni forma di sostegno all’editoria.
Quello che mancherà, per l’ennesima volta, sarà una reale analisi della situazione dell’editoria e del settore dell’informazione in generale; tutte le dichiarazioni saranno, chiaro specchio del Paese, slogan urlati. In realtà mai come oggi e proprio per le vicende politiche degli ultimi mesi il tema dell’informazione andrebbe posto seriamente nell’agenda della politica, quella con la P maiuscola; con un dibattito aperto e privo di pregiudiziali.
Attraverso l’attuale sistema si è riusciti, bene o male, a garantire nel settore della carta stampata un’offerta oggettivamente differenziata d’informazione; soprattutto a livello locale. Le risorse destinate al settore ammontavano a circa settecento milioni di euro sette anni fa. Per il 2011 lo stanziamento è di circa cento milioni di euro. Un taglio di gran lunga superiore a quelli lineari che hanno contraddistinto la politica di bilancio dell’inizio di legislatura. Ma la cosa più grave è che, e questo è sicuramente un dato di fatto oggettivo, è mancata qualsiasi capacità di vedere il settore in prospettiva, qualsiasi ipotesi di sviluppo, di crescita. Ed il risultato è stato, anche questo è un fatto, che grandissima parte delle risorse risparmiate con una tasca sono uscite dall’altra, con un onere impressionante in termini di ammortizzatori sociali. Il risultato è stato una spesa pubblica del tutto improduttiva. Anche questo uno specchio dell’attuale situazione del Paese. In relazione agli scandali, alle distrazioni di risorse, la magistratura farà il suo dovere. Diversi rilievi possono essere mossi all’attuale vertice del Dipartimento informazione ed editoria; ma certamente nulla può essere eccepito in merito al rigore seguito. Il Regolamento che entra in vigore da quest’anno è un passo in avanti; ma un piccolo passo in avanti, con molte contraddizioni. Perché non contiene gli strumenti giuridici necessari a contrastare eventuali abusi, mentre crea eccessive zone di ombra; il vero elemento per distinguere i giornali veri da quelli che esistono solo per accedere ai contributi è rappresentato dalle persone che ci lavorano; giornalisti e poligrafici, perché per fare i giornali ci vogliono le teste e le penne. Il resto è fuffa. Come è assolutamente fuori da ogni ipotesi logica quella di far rientrare il finanziamento pubblico all’editoria tra i costi della politica; un sistema pluralistico è l’esatto opposto, un costo per la politica, costretta a confrontarsi con un’opinione pubblica informata in modo differenziata. Questi, credo, sono fatti.
In conclusione, ritengo che sia necessario che questo tema venga immediatamente sottratto alle decisioni degli esecutivi, che da dieci anni intervengono su una materia che ha tutela costituzionale con decreti legge su cui, sovente, si chiede la fiducia; e vada anche sottratto ai pruriti di giustizialismo e moralismo basati su facili slogan.
Sarebbe necessario aprire immediatamente una discussione profonda sul sistema dell’informazione nel nostro Paese e sulla funzione di questa nel rapporto con la politica e con i centri di interesse economico. Non escludo che questa discussione possa approdare alla decisione di abrogare del tutto il sostegno all’editoria. Ma deve essere una decisione presa assumendosi la responsabilità di addivenire ad un sistema d’informazione con pochissimi gruppi editoriali presenti sul mercato. Gruppi editoriali con interessi importanti sulle principali vicende dell’Italia. Il vero problema è che sulla scorta di slogan e pressoppochismi si sta arrivando a questa conclusione senza discutere; e con il rischio che nessuno si assuma la responsabilità di ciò. E lasciate uno slogan anche a me, fatemi seguire la moda. Quando i giornali sono molti, sembrano troppi. Ma quando sono pochi manca l’aria. Almeno credo.
Enzo Ghionni (Presidente Federazione Italiana Liberi Editori)