Fnsi, Fieg e il progetto di distruzione del contratto dei giornalisti

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È possibile che Fnsi e Fieg, le associazioni che rappresentano rispettivamente giornalisti e editori, stiano lavorando in silenzio a un nuovo contratto per sconvolgere il mondo del giornalismo in Italia? Secondo il sito Unità sindacale Fnsi sì, e lo dice chiaramente in un articolo pubblicato di recente dal titolo “Così la Fnsi di Lorusso vuole distruggere il contratto Fieg e la professione”, che riportiamo di seguito

Addio all’articolo 1 come riferimento storico del contratto dei giornalisti. Spazzati via (e dimenticati) gli articoli 2 e 12. Che lasciano il posto a “collaboratore esterno” e “corrispondente”, figure nuove con pochi pregi e molti rischi per nuovi e vecchi assunti. Largo alle professioni del web, ma con troppa confusione. L’equiparazione di professionisti e pubblicisti che può interferire con le regole della professione fissate dall’Ordine e va contro anche la linea indicata nella nuova legge di riforma dell’editoria. E il pericolo incombente che, per portare a casa un risultato di dubbio valore, si decida di soccombere di fronte all’accetta degli editori sull’intero sistema degli istituti economici del contratto, dalle ferie ai notturni ai permessi retribuiti, dai festivi alle domeniche agli straordinari. Il tutto condito dalla solita, intollerabile abitudine di tenere tutto nascosto alla Giunta Esecutiva, alla Commissione contratto e all’intera categoria (leggi altro articolo qui).

Il progetto di distruzione del contratto dei giornalisti (e pure della professione) porta la data dell’11 novembre 2015 sotto un documento di 12 pagine inviato in silenzio dalla Fnsi di Raffaele Lorusso agli editori della Fieg (clicca qui per scaricarlo e leggerlo integralmente). Ecco nei dettagli come la Fnsi di Raffaele Lorusso vuole sconvolgere oltre un secolo di contratto dei giornalisti. E mettere a rischio la nostra professione.

Il contratto, che scadeva il 31 marzo scorso, è stato prorogato fino al 30 settembre, e la conclusione del confronto sembra direttamente collegata all’approvazione della legge di riforma dell’editoria (che non a caso la Fnsi di Lorusso sta invocando – disperatamente e a gran voce – avvenga in tempi rapidissimi, nonostante presenti lacune e debolezze chiare) e ai soldi che il governo garantirà agli editori per sostegno agli stati di crisi e ai prepensionamenti. Mentre la Fieg, sul piano strettamente contrattuale, punta tutto su modifiche di istituti economici capaci di generare un consistente risparmio sul costo del lavoro: 8 mila euro l’anno medio per ogni giornalista. E se non ci riuscirà, è pronta a rendere operativa la disdetta del contratto e a passare al cosiddetto “erga omnes”, ovvero l’accordo del 1959.

La distruzione del contratto, finora evitata, potrebbe insomma essere dietro l’angolo. Mercoledì 20 luglio riprende infatti il confronto tra Fnsi e Fieg. Ecco i contenuti della proposta segreta consegnata agli editori.

L’articolo 1 e l’”attività quotidiana”
Gli articoli coinvolti nell’ipotesi di revisione sono in tutto 7: l’1, il 2 che viene soppresso e sostituito con l’attuale 11, il 4, il 7, il 12 e il 36 cancellati più o meno in toto anch’essi. Più – ovviamente – l’Allegato A sui minimi retributivi per le diverse qualifiche contrattuali.

L’articolo 1 – secondo la proposta Fnsi – non sarebbe più il sinonimo di rapporto contrattuale a tempo indeterminato per 36 ore settimanali che conosciamo dai tempi dei tempi. Ma si trasformerebbe nel cappello introduttivo del quadro che verrebbe disegnato nel successivo e nuovo articolo 2. Per cancellare con un colpo di spugna la trave principale del contratto Fieg, al team di pensatori di Lorusso è bastato togliere l’aggettivo “quotidiana” e inserire nella nota a verbale riferita al contratto AerAnti-Corallo un’aggiunta sull’applicazione del Fieg a tutti i giornalisti che “svolgano attività di natura giornalistica subordinata in qualsiasi altro mezzo di comunicazione o struttura di informazione“. Mentre resta la frase “L’utilizzazione delle prestazioni professionali dei giornalisti su piattaforme multimediali è disciplinata dall’all.B”, che non avrebbe invece più ragione di esistere.

Nemmeno lo sforzo di riscrivere l’articolo 1 per renderlo idoneo ai nuovi obiettivi, insomma. Forse perché tanto chiari e coerenti questi obiettivi non sono nemmeno a chi ha elaborato la proposta.

La soppressione degli “articoli 2”
D’accordo che oramai sono rimasti in pochi, una sorta di specie in via di estinzione, ma la soppressione tout court e definitiva dei colleghi assunti in base all’articolo 2 (i collaboratori fissi) nemmeno gli editori più arditi alla Caltagirone l’avevano mai sognata. Donne e uomini di Lorusso invece sì.

Nel nuovo articolato proposto alla Fieg l’attuale articolo 2 non esiste più, sostituito da quello che oggi è l’articolo 11 “QUALIFICHE, INCARICHI FUNZIONALI, MINIMI DI STIPENDIO“, arricchito da svariate nuove figure professionali. Ma che fine faranno gli attuali “articoli 2” non è dato sapere. Neppure una notarella finale, una postilla, una clausola, una norma transitoria. Nulla. Come non fossero mai esistiti.

La qualifica non c’è più
Un’altra idea che a qualcuno dev’essere sembrata geniale è l’eliminazione delle qualifiche contrattuali. Sapete, quelle di redattore ordinario, caposervizio, caporedattore? Per Lorusso e i suoi sono evidentemente superate, roba da mondo antico a cui solo chi non si arrende al vento del cambiamento (è l’accusa a chi non la pensa come loro) può restare ancorato. Chi è al passo con i tempi e comprende che la realtà non è più quella di una volta, dopo vari studi e notti insonni, alle “qualifiche” ha sostituito nell’articolato proposto alla Fieg i “livelli di qualifica“, mantenendo però le mansioni. Capite la differenza epocale?

Facili battute a parte, la differenza c’è. E non è a nostro favore. Certo, nei “livelli di qualifica” si può far stare dentro di tutto, e ostentare la conoscenza di ogni termine inglese delle nuove figure professionali del web. Mentre con le “qualifiche” sarebbe stato più difficile e impegnativo, si trattava di riscrivere tutto in italiano. Ma “scendere” da una qualifica è sempre stato difficile. Mentre, senza qualifiche ma con le mansioni, resta il dubbio che l’applicazione del “demansionamento” previsto dal Jobs Act possa persino riuscire più semplice agli editori.

Le professioni del web
I livelli di qualifica impongono infine una elencazione delle professioni del web. Con il rischio – prima di tutto – di dimenticarne qualcuno (anzi molti). Oppure di non prevedere la nascita di nuove figure in un prossimo futuro. E, soprattutto, di inserire chi giornalista non è e non può essere. Come è accaduto agli originali estensori della proposta Fnsi. Che con l’inglese devono aver fatto confusione.

Un esempio? Il “web master“, inquadrato nello stesso livello del caposervizio, è definito “il giornalista, competente nelle tecniche di base della comunicazione, responsabile della programmazione e della gestione del sito nel suo complesso, alle dirette dipendenze del responsabile dell’area digitale”. Ma non è così. Il web master è chi amministra e gestisce un sito dal punto di vista tecnico e non dei contenuti. Quello descritto è semmai il “web content manager“, che però non viene citato.

Ancora, il “web developer” non è, come descritto, “il giornalista che, in possesso delle specifiche competenze tecniche, ricerca e sviluppa soluzioni capaci di incrementare l’interattività e la multimedialità informativa del sito”, ma un programmatore web che ha dimestichezza con protocolli di rete, server, app, database, sicurezza informatica e, ovviamente, linguaggi di programmazione.

Mentre il “web watcher” proprio non esiste, come figura professionale. Al massimo è il marchio di un software sviluppato nel 2002 a uso anti-terrorismo e ora inserito sui cellulari e utilizzato dai genitori per monitorare i propri figli. Il “giornalista esperto nella ricerca, all’interno della rete, del materiale informativo, ai fini della produzione redazionale” descritto dalla Fnsi e definito anche “redattore ricercatore” si traduce invece “web surfer” e si avvicina anche alla figura del “social media editor“.

Il “collaboratore esterno” e il “corrispondente”
La vera novità, quella che dovrebbe colpire l’obiettivo dell’inclusione di cui sono pieni i discorsi del segretario Lorusso e della sua squadra, è però nell’inserimento di due figure professionali direttamente nei livelli di qualifica: il “collaboratore esterno” al livello f), che sostituisce l’articolo 2, e il “corrispondente” al livello g), che sostituisce l’articolo 12 (da non confondere però con il “redattore corrispondente”, inserito nel livello a). Ma sono più i nodi e i rischi, dei reali vantaggi che questa ipotesi porterebbe.

Entrambi – secondo le definizioni contenute nella proposta – non avrebbero vincoli di orario e sarebbero alle dirette dipendenze di un caposervizio o del responsabile di una redazione decentrata. Ma il primo sarebbe un “componente della struttura organizzativa redazionale” con conseguente accesso al sistema editoriale, ma senza attività di desk neppure per la titolazione. Mentre il secondo sarebbe “tenuto a fornire con continuità l’informazione da uno o più comuni del territorio italiano” e non entrerebbe quindi nella struttura redazionale.

L’obiettivo dichiarato – e sicuramente condivisibile – è portare un buon numero di attuali cococo al contratto di lavoro dipendente. Peccato che però tutto verrebbe lasciato nelle mani di comitati e fiduciari di redazione, nel confronto con aziende e direttori, per verificare entro 12 mesi “l’esistenza dei requisiti e le condizioni per la trasformazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in atto in ciascuna azienda, in rapporti di lavoro subordinato” (nuovo comma dell’articolo 4). Una responsabilità enorme, dai risultati incerti.

Il “nodo” delle retribuzioni
Per non parlare della domanda più “prosaica” ma più sentita dai colleghi interessati: quanto dovrebbero guadagnare – come minimo contrattuale – questi nuovi giornalisti dipendenti? Nessuna cifra è ovviamente indicata, nella proposta della Fnsi. Anche se viene precisato che deve essere garantito al momento dell’assunzione, oltre al minimo, un superminimo: per i collaboratori esterni “in base alla specifica produttività determinata in funzione del livello quantitativo e qualitativo della prestazione“, e per i corrispondenti “in funzione dell’area territoriale ricoperta e della quantità della prestazione”, senza riferimento alla qualità che evidentemente a livello locale alla Fnsi interessa meno.

Certo, nessuno dubita che la retribuzione sarebbe più bassa di quella di un redattore anche con meno di 30 mesi di anzianità professionale. Anche se, qualsiasi essa fosse alla fine, gli editori dovrebbero versare all’Inpgi il contributo minimo previsto. Un particolare non da poco, che aiuta a spiegare tante cose. Mentre per la Casagit la storia è diversa: se la retribuzione non è adeguata, il “conguaglio” deve metterlo il singolo giornalista di tasca propria. Ed è per questo che l’ipotesi potrebbe essere di prevedere per collaboratori esterni e corrispondenti uno dei profili più bassi della Cassa sanitaria. Proprio come si vorrebbe fare per i cococo.

Il rischio di redazioni senza redattori
Il rischio più infido che corriamo tutti, se dovesse passare questa impostazione, con i due nuovi livelli di qualifica, sarebbe di regalare agli editori un altro loro sogno antico: la redazione senza redattori, con pochi giornalisti a fare desk e tutti gli altri – ma proprio tutti – fuori a scrivere, guadagnando poco più di quel che prendono oggi i cococo, ma senza alcuna possibilità di fare causa. Mentre sappiamo benissimo che gran parte dei collaboratori che gli editori potrebbero (forse) trasformare in collaboratori esterni o corrispondenti sono di fatto articoli 1 abusivi, colleghi che lavorano quanto e più dei redattori assunti e che attendono da anni una stabilizzazione che, così, diventerebbe impossibile.

Quando dico tutti, penso inoltre a chi è assunto ora con l’articolo 1 ma, in caso di crisi o di altri problemi, potrebbe magari subire il ricatto di un licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” (che, con le nuove norme, non prevede il reintegro neppure in caso di vittoria in tribunale, se non in rarissimi casi) e accettare di diventare “collaboratore esterno”. Una richiesta che potrebbe persino far capolino in accordi collettivi aziendali pur di evitare dolorosi stati di crisi. Innescando una corsa al ribasso retributivo, che Lorusso e i suoi sono probabilmente pronti ad accettare in cambio di nuovi iscritti all’Inpgi1. Ma i giornalisti già assunti e quelli che potrebberlo esserlo, privi di informazioni come la Fnsi vuole, si rendono conto di quel che potrebbe accadere?

Perché io credo che significherebbe la disgregazione totale e finale della professione. Mentre l’obiettivo di includere chi è oggi fuori dalle redazioni o dentro in maniera “contrattualmente impropria”, per usare un eufemismo, dovrebbe passare dalla rivendicazione ferma e seria dei diritti che i colleghi hanno, del riconoscimento del lavoro che fanno e del loro inquadramento corretto all’interno del contratto. Peraltro, con benefici maggiori anche per l’Inpgi. E non dal disegno di qualifiche di serie B su misura per loro, da cui non uscirebbero mai.

Professionisti e pubblicisti pari sono?
Portata generale ha infine un’altra proposta. Che – partendo dal contratto – andrebbe a mettere in discussione di fatto anche la legge ordinistica. Perché sembra voler del tutto equiparare a livello contrattuale il lavoro dipendente di professionisti e pubblicisti. In due mosse. La prima è quella, appena vista, di parlare di attività giornalistica senza limitarla a quella quotidiana. La seconda è l’intervento sull’articolo 7, quello sugli orari di lavoro, dove verrebbe eliminato l’aggettivo “professionisti” ai giornalisti ai quali applicare l’orario di massima settimanale di 36 ore su cinque giorni.

A cascata, questa apparentemente piccola modifica doppia ricadrebbe sull’articolo 36, quello dei pubblicisti. In cui è però oggi previsto che i colleghi con impegno pieno di 36 ore ricevano l’attestazione per poi superare l’esame professionale. Che fine farebbe questa norma? Rimarrebbero tutti pubblicisti? E come si concilia la modifica dell’articolo 7 con l’articolo 5, che impone “l’assunzione di giornalisti qualificati professionisti” per direzioni, redazioni, inviati, per gli uffici di corrispondenza da Roma , capitali estere e New York e per chi lavora nelle redazioni decentrate e anche ai corrispondenti da capoluoghi di provincia?

Sicuro che dal punto di vista dell’Ordine sia tutto a posto? Certo, è difficile pensare che Lorusso e i suoi non abbiano soppesato la portata di questo effetto, e la sua praticabilità in base alla legge 69 del 1963. Peraltro in un momento in cui la legge di riforma dell’editoria in discussione in Parlamento tende a confermare la differenza tra giornalisti professionisti e pubblicisti (che dovrebbero essere solo quelli che hanno un’altra attività prevalente).

Solo tagli nella piattaforma Fieg
Questa è la sintesi della proposta che – di nascosto – la Fnsi di Lorusso ha consegnato alla Fieg. Che sembra però non volerne proprio sapere. O piuttosto, spera forse di contrattare qualche concessione – senza garanzia alcuna di assunzioni future – in cambio del sì alle proprie richieste. Che sono da tempo scritte nero su bianco in un documento anch’esso tenuto segreto alla Giunta Esecutiva e alla categoria.

Si sa per certo solo una cosa: la piattaforma degli editori, come preannunciato sin dal primo incontro, mira a modificare oltre 20 istituti contrattuali: dai festivi alle domeniche, dagli straordinari ai notturni, passando per ferie, riposi retribuiti, permessi, trasferte e chi più ne ha più ne metta. Un pacchetto che, in base ai conti della Fieg, finirebbe per consentire un risparmio del costo del lavoro unitario, ovvero per singolo giornalista, pari a circa 8 mila euro l’anno.

L’impatto sulle retribuzioni sarebbe notevole soprattutto per i più deboli: i colleghi con qualifiche minori e assunti nei giornali meno ricchi, quelli che non hanno superminimi né forfait in busta paga e per una bella fetta del proprio netto a fine mese contano su domeniche, straordinari, notturni e festivi. Ecco perché lo “scambio” a cui forse pensa la Fieg – nuove figure professionali di giornalisti dipendenti contro tagli generalizzati – avrebbe l’unico effetto di una guerra di “povertà” tra le parti meno tutelate della categoria.

Lo spauracchio dell’”erga omnes”
La Fieg sembra peraltro pronta a utilizzare lo spauracchio del passaggio al contratto “erga omnes”, se non si dovesse arrivare a un accordo per il rinnovo. Cioè il ritorno alle norme del 1959 per i nuovi assunti, ma con effetti inevitabili anche per i giornalisti vecchi dipendenti. La possibilità è offerta dalla disdetta del Cnlg in vigore comunicata lo scorso anno. E potrebbe scattare già dal primo ottobre, in mancanza di una nuova proroga, sulla quale non tutti gli editori sono d’accordo. E questo nonostante in Fieg non siedano più i Caltagirone, da sempre considerati i “falchi” della Federazione di via Piemonte.

Come uscirne? Solo con la forza dell’unità del Sindacato e della categoria. Che non si costruisce però in un giorno né, tantomeno, con comportamenti opachi e sleali. Quelli che pratica la Fnsi del segretario Raffaele Lorusso. Che, a dispetto della grande ammucchiata dell’attuale maggioranza, sembra respingere con presunzione e sufficienza qualsiasi forma di confronto democratico e di discussione aperta con chi ha idee e proposte differenti.

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