Una riforma dell’editoria un po’ zoppa e la questione Piano Poste, il presidente della Fisc, Francesco Zanotti, fa il punto sul momento dei settimanali cattolici: “La posta a giorni alterni stronca il legame con i lettori, serve più attenzione al non profit. In quattro anni abbiamo perso il 75% dei contributi”
“Alla fine era tutta una bufala. Forse lo hanno fatto per prendere tempo. Forse non lo sapevano neppure loro come avrebbero portato avanti il progetto. Fatto sta che dallo scorso 8 febbraio, in tutto il territorio che fa capo a Cesena, la posta viene consegnata a giorni alterni. Diciamo meglio: una settimana viene recapitata il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Quella successiva, il martedì e il giovedì, con una sequenza che somiglia più a un rompicapo che a qualcosa di ragionato”. A scriverlo, sulle colonne del Corriere Cesenate, è il direttore Francesco Zanotti.
Proprio con Zanotti, che è anche presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici, avevamo parlato lo scorso ottobre a proposito del cosiddetto Piano Poste, che era stato bloccato fino al 31 dicembre 2015 e poi fino al 31 marzo. Ora, in parallelo con il dibattito che si sta infuocando sulla proposta di legge sull’editoria, tracciamo insieme al presidente della Fisc il quadro della situazione: “le novità sul Piano Poste vanno contro a quanto era stato stabilito lo scorso anno. Si tratta di una cosa molto grave. Con la consegna prevista per 5 giorni ogni 14 i nostri giornali più diffusi non vengono distribuiti perché non ci sono mezzi sufficienti”.
La questione relativa al Piano Poste può essere riportata nel contesto della riforma dell’editoria?
Noi abbiamo presentato un documento alla commissione Cultura in vista della riforma in cui uno dei sei punti in discussione riguarda proprio il Piano Poste. L’abbiamo ribadito più volte: è inutile parlare di una riforma dell’editoria che mi consente di far uscire il giornale se poi non viene recapitato. La gran parte delle nostre pubblicazioni sono diffuse grazie all’abbonamento postale che costituisce un legame fortissimo tra giornale e lettore. Il procedimento in atto va contro il buon senso, è un ragionamento contorto. L’obiezione che ci viene fatta è che nei territori molto dispersi e molto lontani diventa antieconomico consegnare il giornale: può essere consegnato in digitale. Ma quegli stessi territori sono tuttora poco serviti dalla rete internet, quindi come fare? Se poi pensiamo che una gran parte dei nostri lettori, così come quella di molti quotidiani, ha un’età media piuttosto alta, non tutti loro avrebbero facilità di accesso con una diffusione digitale. La soluzione non è semplice, questo lo sappiamo bene, perché è vero che in certi contesti la consegna può essere dispendiosa.
Quale soluzione propone?
Non esiste solo il bilancio economico, anzi oggi va di moda per tante aziende, anche grandi, stilare il bilancio sociale. La consegna è pur sempre un servizio collettivo che, se è vero che segna un ‘meno’ nel bilancio economico, è anche vero che costituisce un plus in quello sociale. Non si può non tenerne conto. Stilare un vero e proprio bilancio sociale potrebbe essere un merito, un fiore all’occhiello. Io, almeno, la vedo così.
Stiamo parlando di informazione, un tema che viene trattato con grande cautela in tutti Paesi che si considerano civili. Noi invece ormai parliamo dell’informazione come di un qualsiasi prodotto, di una merce. Io non condivido per nulla quest’impostazione.
In che stato di salute versano gli affiliati alla Fisc?
A parte qualche fortunata e bella eccezione che ancora esiste grazie al radicamento nei territori, viviamo un momento di difficoltà. In questi anni di crisi è diminuita la pubblicità e anche gli abbonamenti sono in calo. Inoltre c’è la concorrenza della rete e la vera questione è cercare di capire come sarà il prossimo futuro. Quale sarà la sponda su cui andremo a collocarci tutti quanti? Non lo sanno i più grandi editori al mondo, che tentano soluzioni, e al momento anche noi facciamo fatica a capire dove andremo. Però la storia ci insegna che di solito l’avvento di un nuovo mezzo di comunicazione ha prima messo in crisi il sistema precedente per poi passare ad una seconda fase di spinta reciproca. Quindi noi pensiamo che la carta vincente per i nostri giornali possa essere l’alleanza carta-rete, creando, dove possibile, una sinergia anche con radio e televisioni locali. Se si riesce a mettere questo in pratica si possono abbattere i costi e fare una migliore informazione su tutti i mezzi di comunicazione.
Quindi la vostra priorità adesso è quella di favorire lo sviluppo di queste sinergie?
L’integrazione tra i mezzi di comunicazione è fondamentale come l’alleanza di cui parlavo in precedenza tra web e carta stampata: se internet è un luogo e non un mezzo di comunicazione, noi dobbiamo esserci. Nel convegno che abbiamo fatto a Cesena per i 100 anni del Corriere Cesenate il titolo era ‘Territorio e internet, due luoghi da abitare’. Il 21 aprile abbiamo convocato un consiglio nazionale straordinario per confrontarci anche con alcuni esperti per il futuro dei nostri giornali.
Nel corso dell’ultimo anno gli editori si sono confrontati spesso con il governo, specie dopo l’apertura del tavolo per l’editoria. Come pensa che siano state recepite le vostre esigenze?
Il governo ha insistito per presentare questa proposta di legge e questa è una cosa significativa. Poi ha visto che probabilmente c’erano delle difficoltà e ha passato la palla al Pd, ma va bene: l’impianto della legge, grossomodo, è rimasto quello. Il sottosegretario Lotti aveva parlato di tempi più rapidi che sono stati superati, pazienza, ma sarebbe importante arrivare alla riforma. Vero è che in questo momento c’è una proposta un po’ zoppa perché dopo un periodo di tre anni prevederebbe il sostegno con una contribuzione pubblica solo ai giornali di cooperative di giornalisti. Noi qui abbiamo qualche riserva perché riteniamo che tutti gli editori che fanno capo a enti non profit debbano essere aiutati in quanto fanno un servizio di informazione che non ha fini di lucro.
C’è qualcosa che l’ha impressionata positivamente della riforma per l’editoria?
Il desiderio del legislatore è quello di sostenere chi favorisce il pluralismo nell’informazione cosiddetta generalista e questo non è poco.
Certo, ci sono situazioni da superare rispetto al passato dove c’è stato chi ne ha approfittato e noi infatti continuiamo a parlare di rigore ed equità: dare il sostegno a chi lo merita e favorisce il pluralismo, ma allo stesso tempo dare aiuto a tutti nella stessa percentuale. In questo modo usciremmo da quel ghetto del 5% che ci fa arrivare solo le briciole delle briciole dei contributi. L’anno scorso 72 delle nostre testate hanno preso i contributi ed abbiamo potuto constatare che in quattro anni abbiamo perso il 75% dei contributi. Non è certo una cosa da poco, ancora di più in un momento come questo in cui si contraggono anche altre voci di ricavo.
Un anno fa, insieme ad altre associazioni del settore, avete aperto la campagna Meno giornali Meno liberi. A dodici mesi dal via quale bilancio possiamo fare?
Questa campagna ha aiutato sicuramente a far comprendere a molte persone che se si perde un giornale tutti perdono qualcosa. Libertà, dibattito, confronto, un giornale che viene meno è una perdita sotto molti punti di vista. Quando vengo a sapere di un giornale che chiude, a prescindere dal suo orientamento, mi si stringe il cuore. Per noi della Fisc i giornali sono come delle piazze, luoghi di confronto. Anzi, i giornali, come ha detto anche Papa Francesco, possono essere visti come dei ponti. È un’immagine bellissima perché cosa vuol dire aprire un ponte se non accorciare le distanze?
Recentemente l’on. Rampi ci ha detto di sperare che la riforma sia pronta entro l’estate, secondo lei c’è la possibilità che i tempi vengano rispettati?
Io ci spero, in modo che possa andare a regime con l’anno in corso, sarebbe un bel risultato. Certo, ci sono alcuni aspetti su cui bisogna lavorare però noi siamo sempre disponibili a farlo.
Ci spiega come mai il fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione è essenziale per gli editori?
L’informazione oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, non sta in piedi con le normali leggi di mercato. Questo ormai è un dato di fatto e non è una questione che riguarda solo l’Italia: avviene così in tutto il mondo, anche se con forme diverse. D’altronde anche qui da noi non sono solo i giornali che prendono i contributi diretti a stare in piedi grazie al sostegno dello Stato: ci sono, infatti anche quelle realtà che prendono tanti contributi indiretti, come gli stati di crisi, i contratti di solidarietà e i prepensionamenti. È un settore molto complicato e difficile, ma è un settore per cui credo valga la pena che la collettività intervenga per sostenere il confronto nel Paese: meno voci ci sono e più tutti ci rimettiamo.