Storie di solitudine. Vite alla ricerca di una propria identità. Alla ricerca di altri, di amici, forse di uno specchio della propria anima. Sempre più spesso la ricerca viaggia su internet, va in rete, in una giungla man mano più intricata di post, tweet, app. Dipendenze? Forse
Una fresca puntata di AnnoUno, condotta da Giulia Innocenzi, ha fatto non poco discutere, anche sul web.
Da brividi le riprese dalla Cina, quelle sale infernali da videogiochi superaffollate di giovanissimi e quelle tremende caserme “rieducative” per tante vite precocemente bruciate.
Ne parliamo con Ignazio Senatore, psichiatra, esperto di dipendenze, una vita nelle strutture sanitarie pubbliche di Napoli, una passione da sempre: il cinema. E animatore di un appuntamento che compie sette anni, “I Corti sul lettino”, ossia il rapporto tra cinema e psicoanalisi. Per la serie, Ingmar Bergman e Sigmund Freud a confronto.
Mondo reale e mondo virtuale, quali confini, come orientarsi?
E’ un mondo sempre più pieno di solitudini. Mancano identità. Mancano modelli, punti di riferimento. Come in un mare, in un infinito oceano senza approdi. O in un deserto dove i riflessi ti possono facilmente ingannare. Quando vedi all’orizzonte una sagoma, qualcosa, cerchi di afferrarla. E così un contatto via computer, magicamente, si moltiplica, e diventano dieci, cento, o forse mille. Folle di contatti, di amici. Spegni il computer e resti solo, frantumato. Per questo motivo devi continuare, in modo a volte compulsivo, un po’ come ricorrere a una sostanza dopante. Si cerca sostegno nella rete, un supporto, un aiuto. Quello che non trovi nella realtà esterna, che è ormai scissa, separata…
Un io frantumato, diceva.
Sì, oggi l’io, soprattutto dei giovani, è frantumato. Tessere di un mosaico senza un qualcosa che le tenga insieme, per dare appunto un’identità. La storia comunque non è nuova, non è la rete certo a partorirla, ma solo a manifestarla nella sua essenza. Henry Miller, ricordo, provava un’angoscia per certi versi simile e invidiava Dostoevskij, che poteva interrogare l’anima. L’io è scisso, ragionava Miller, frantumato. Come del resto mostrano i volti destrutturati di Picasso.
E l’identità…
Una volta c’erano le idee, le ideologie che tenevano insieme, tanti giovani che lottavano per il comunismo o contro la guerra in Vietnam. Ora il massimo del pensiero è racchiuso in un tweet, o per non fare neanche quello sforzo da 140 battute, in un ‘mi piace’. Del resto, un tempo ci si riuniva in piazza, si facevano le marce: ora al massimo un flash mob, ci si dà un appuntamento, tanto perchè non puoi non esserci. La logica è quella dell’apparire. La tua identità esiste solo se si muove dentro un gruppo, un branco, nel quale trovi sicurezza e conferme. Devi essere su Facebook, per esistere. Devi viaggiare su tutti i social, altrimenti non sei. Ma tutto è sempre più lontano, rarefatto. Appunto, virtuale.
Ma così fan tutti, da Renzi al Papa, a partire dai tweet.
Questo è il dramma. Pensiamo di essere in una grande democrazia, per il solo fatto che possiamo twittare come Renzi o il Papa. La democrazia era qualcosa di un po’ più importante…
Qui siamo al villaggio globale, i confini non ci sono più. Un po’ come il viaggiare in senso stretto: una volta era di pochi, dei ricchi, una volta Marco Polo poteva a ottima ragione raccontare dalla lontanissima Cina. Oggi con 29 euro vai a Bombay, e quel grande mondo sembra restringersi, sempre più. Cammini per le strade del centro di Istanbul e sei in quelle di Napoli o di Roma: le stesse grandi firme, gli stessi dieci brand più famosi. Tutto uguale, omologato, uniformato.
Quando sei là devi farlo sapere a tutti, ai tuoi amici, ai tuoi followers…
Ti fai vedere e posti mentre mangi un gelato a Bahia oppure a Ostia, basta ti possa illudere che in quel momento sei tu il protagonista e tutti ti guardano. C’è la voglia di mostrarsi, di farsi vedere, così come d’altra parte c’è la voglia di guardare, di osservare come dal buco della serratura. Una sorta di grande parata di esibizionismo e di voyerismo. E’ quella “Finestra sul cortile” che è dentro ognuno di noi, siamo un po’ tutti James Stewart che osserva cosa succede intorno a lui…
E con Periscope oggi tutti possiamo diventare in qualche modo registi di noi stessi e di quello ci circonda, e di condividerlo col mondo…
E’ lo stesso meccanismo. Per sentirmi meno solo, e cercare un’identità, dico al mondo, “io sono qui, guardatemi”. Poco importa se poi gli altri o chi ti vede, comunque, si fa beffe di te o te ne manda a dire di tutti i colori. Del resto non sei Chaplin…
A proposito di cinema, riprese e tutto ciò che fa spettacolo. Vediamo di marcare qualche differenza. Ad esempio, con Periscope tu fai le riprese, sei tu il regista. Un Truman show riveduto e corretto?
No, neanche per sogno. Il Truman show aveva la precisa caratteristica che il protagonista veniva ripreso a sua insaputa. Cioè, lui viveva, non sapeva di essere filmato, quindi per chi osservava c’era la totale genuinità del comportamento di Truman. Cosa completamente diversa qui, con Periscope: io riprendo, filmo, non c’è nessuna sorpresa se non che pinco palla, tizio oppure caio fa delle riprese. Spesso orrende o senza il minimo significato. Punto.
Allora, proviamo con il Grande Fratello oppure l’Isola dei Famosi.
Nemmeno. Quelli del Grande Fratello sapevano di essere ripresi, erano degli illustri sconosciuti la cui fortuna era che uno su dieci poi diventava – si fa per dire – qualcuno. Ma c’era comunque alle spalle un grande lavoro, molta professionalità, una regia come si deve, ingenti mezzi economici. Le stesso per l’Isola dei Famosi: grossi budget, un mare di tecnica e in quel caso come protagonisti dei volti noti al grande pubblico. Si tratta di cose molto diverse.
La rete, i social, Facebook anche per condividere la sofferenza, il dolore. Caso mai la perdita di una persona cara.
Ci risiamo. E’ sempre lo stesso meccanismo. Io penso, a torto o a ragione, si sentirmi meno solo, di trovare tanti amici intorno a me. Illusione? Con ogni probabilità sì. Ma se fa bene… Per quanto riguarda il dolore, caso mai la scomparsa di un caro, ricordo che una volta si usavano le immaginette, si facevano stampare con una frase, un pensiero, la foto della persona, la data della nascita e della fine, e si davano a tutti gli amici, in occasione del funerale. Oggi si posta su Facebook. E poi pensiamo a quel che passa per le tivvù di oggi, con il dolore da audience: le trasmissioni, per fare un solo esempio, di Barbara D’Urso non sono un pianto continuo, fra morti, lutti e dolori? Il dolore va in piazza. Tutto viene esposto, come al mercato, messo in mostra. Il privato non esiste più.
Un po’ come scrive il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han: “il web è pornografico” perchè tutto viene illuminato a giorno e quindi non esiste più alcuna privacy?
No, non mi pare il caso di arrivare a questi estremi. Nè giungerei a queste implicazioni filosofiche o giù di lì. E non vorrei in alcun caso esprimere giudizi di merito. Perchè sono dell’avviso che il mezzo è ormai quello, la rete, il web. Il problema reale – come per tutto l’universo internet – sta nell’uso che se ne fa. L’automobile è un essenziale mezzo di locomozione, ma può diventare uno strumento per uccidere se sei drogato o ubriaco. Oggi il Totem è la rete, il nuovo Tempio al quale le folle accorrono. E non le puoi fermare. Un rito che diventa quasi obbligatorio, te lo imponi, lo indossi come la tua divisa. Partecipo a quel Circo per non sentirmi solo. Per non essere invisibile. Per non continuare a vivere una vita inutile. Per esserci anch’io. Se hai una tua identità, non hai bisogno di tutto questo. Ma se non ce l’hai…