Innovazione, occupazione, trasformazione, start-up, sono anni che si parla in questi termini di una riforma dell’editoria. Questi sono i termini che rappresentano l’unico elemento di continuità nella discontinuità dei governi, ma senza gli approfondimenti necessari. La pensa in questo modo la presidente della File (Federazione Italiana Liberi Editori), Caterina Bagnardi. “L’impressione è che quando si parla di editoria, anzi di editoria di minori dimensioni, gli spot prevalgano sulla effettiva conoscenza della realtà”. Lo scorso 18 giugno a Cascina Triulza, nello spazio che Expo Milano 2015 dedica alle iniziative dedicate ad un futuro sostenibile, la File insieme ad Aci Comunicazione e Fisc ha organizzato il primo incontro tra le federazioni dell’editoria non profit e cooperativa per delineare alcune proposte da sottoporre al Governo.
“Delle premesse sono necessarie. – spiega la Bagnardi – In questi ultimi anni il fondo destinato a garantire il pluralismo è sceso da circa 700 a 20 milioni di euro”. Ma allora che attenzione c’è oggi verso il pluralismo dell’informazione? “Gli effetti di questi tagli oggi sono l’avvenuta chiusura di decine di quotidiani e centinaia di periodici, con evidenti ricadute in termini di oneri per lo Stato”. Più di una volta la File ha infatti sottolineato che gli ammortizzatori sociali, così come i prepensionamenti, i licenziamenti, le solidarietà, le casse integrazioni sono gli strumenti per rendere silenti le chiusure dei piccoli giornali, e le ristrutturazioni di quelli di maggiori dimensioni.
Si tratta di una crisi che parte da lontano, le cui origini si possono far risalire all’agosto del 2008, quando il ministro Tremonti previde l’abolizione del diritto soggettivo. Successivamente, nel dicembre del 2011, il presidente del Consiglio Monti previde l’abolizione diretta dei contributi. “Ambedue le misure con decreto legge, il pluralismo trattato come un terremoto. Allora mancò un confronto, il vento del demagogismo funziona sempre, meno soldi ai giornali, senza approfondire alcun tema, le dinamiche dei costi, lo strozzamento del sistema distributivo, l’impossibilità per i quotidiani di piccole e medie dimensioni di accedere alle pianificazioni pubblicitarie, a partire da quelle delle imprese a partecipazione pubblica. La revisione del contratto del servizio postale universale chiude definitivamente il canale degli abbonamenti, basta non parlarne”.
Con la stessa superficialità si è deciso di guardare al web come “panacea di tutti i mali, come lo era la televisione analogica negli anni 80, come la satellitare negli anni 90, anni di monopolio ed oligopolio non hanno insegnato una lezione, semplice. Non è un problema di piattaforma di diffusione, ma di produttori di contenuti”.
Ora la cosa più importante è guardare al presente: l’esigenza di garantire la governabilità è sentita il tutto il Paese. “Ma se una minoranza decide anche per le altre – prosegue ancora la leader della File – allora è ancora più essenziale che queste ultime trovino adeguati strumenti di tutela. Premi di maggioranza e pluralismi vanno a braccetto nei paesi democratici, se una parte decide è necessario garantire alle altre la massima libertà di esprimere le proprie opinioni, ma soprattutto, a tutti i cittadini, quella di formarsi una propria opinione”.
Il pluralismo è libertà, la libertà di pensare in maniera diversa. Ma per avere questa libertà è necessario avere delle possibilità: studiare, leggere i giornali, ascoltare musica, vedere film. “Di questo non si parla, tecnologia, efficienza, innovazione, occupazione. Riprendendo un una vecchia frase di McLuhan bisogna scegliere se prediligere il mezzo o il messaggio; la modalità di diffusione o i contenuti. E’evidente che bisogna guardare avanti, ma i contenuti vengono prodotti da imprese organizzate in modo professionale per fornire, a pagamento, informazione”. La materia prima di questo processo sono le professionalità che lavorano al fine di trasformare i fatti in notizie ed opinioni.
La File ha presentato una bozza di documento per aprire il confronto sulla riforma, in maniera trasparente. Si parte dalla governance della società, all’intensificazione dei controlli di routine, a modalità più efficienti di allocazione delle risorse. La figura in primo piano resta sempre il lettore, da tutelare a tutti i costi. Tuttavia, “perché ci sia effettiva autonomia è necessario che ci siano i diritti e non è pensabile che la vita delle imprese editrici dipenda dalle decisioni dei Governi”, spiega ancora la Bagnardi. “Una parte del Paese ritiene che il finanziamento pubblico all’editoria sia inconciliabile con un sistema di garanzia del pluralismo, dato che la sopravvivenza delle imprese è rimessa in mano agli esecutivi. E’vero, è così. Il finanziamento al pluralismo, e lo dice la Corte europea dei diritti dell’Uomo, non è un costo della politica, ma un costo della democrazia. E mai come in Italia è stato dimostrata dai fatti negli ultimi anni che tutti i Governi, e non ci riferiamo solo a quello attualmente in carica, soffrono il sistema pluralistico che nella carta stampata si era, e la declinazione del verbo al passato non è casuale, sviluppato”.
E’ necessario che gli stessi procedimenti amministrativi per l’erogazione dei contributi siano portati ad un livello di trasparenza estrema, e sono gli editori stessi a richiedere da tempo regole, doveri e diritti. La federazione nazionale della stampa, inoltre, rivendica da tempo il diritto dei giornalisti ad essere pagati. “E’ un diritto sacrosanto. Ma vanno fatte due precisazioni; la prima è che quella riforma, quella del 2012, che sembra non essere mai stata scritta va esattamente in questa direzione, subordinando il contributo al pagamento, tracciato dei costi. E la seconda è che se un giornalista non viene pagato, o viene pagato in ritardo, questo dipende dalla scelta di una società di cui lui stesso è socio”. In questo caso il problema non è del “padrone”, ma di tutta l’impresa.
Il mantra degli ultimi anni è l’innovazione tecnologica. “Tutti i giornali associati alla File – racconta la Bagnardi – sono sul web, hanno i propri social network, applicazioni per diffondere i propri contenuti sui dispositivi mobili. E abbiamo anche ricavi derivanti dal web, in crescita ogni anno, i numeri, sotto questo profilo, sono confortanti”. Ma questi numeri, pur incoraggianti, in termini assoluti sono ancora piuttosto piccoli: “crescere del 100 per cento il proprio fatturato per i contenuti e la pubblicità sul web significa che l’incidenza sul valore della produzione in assoluto passa dallo 0,5 all’1 per cento”.
L’innovazione tecnologica è necessaria ed essenziale, ma non deve diventare “l’ennesimo spot per alimentare la chiusura delle redazioni, gli ammortizzatori sociali, replicando quanto già è accaduto negli anni passati”, conclude Caterina Bagnardi.
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