Il tribunale fallimentare di Roma ha scritto la parola fine sulla lunga agonia de L’Unità sancendone il fallimento. L’editore dello storico quotidiano della sinistra italiana è fallito, l’ultimo ricorso è stato respinto e dal 27 luglio scorso la società ha chiuso i battenti. Una storia, lunga, gloriosa e negli ultimi anni fin troppo travagliata, s’è chiusa. Almeno sul fronte “contabile” ed economico della vicenda. La notizia non ha interessato solo gli addetti ai lavori ma ha scatenato un nuovo capitolo del dibattito relativo alla stampa italiana, alle sue condizioni di salute.
Le reazioni sono state tantissime. A cominciare da quella del comitato di redazione e della Federazione nazionale della Stampa Italiana che in una nota hanno stigmatizzato l’accaduto parlando, apertamente, “di un fallimento annunciato, un epilogo in cui chiare ed evidenti sono le responsabilità dell’azienda”. Ma non è tutto: “Ad essere calpestati non sono stati soltanto i diritti, le aspettative, la vita stessa, delle lavoratrici e dei lavoratori, giornalisti e poligrafici, che dal 1°gennaio di quest’anno sono senza alcuna copertura sociale, ostaggi di un’azienda che ha continuato a giocare sulla loro pelle. Ad essere calpestata, è stata anche una storia gloriosa. La storia de l’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, un pezzo importante per l’informazione democratica di questo Paese”.
Ma da una crisi, come recita un adagio che si è imposto all’epoca del web, possono nascere delle opportunità: “Ora si apre un percorso fallimentare che porterà alla vendita all’asta della testata. L’auspicio è che, in un momento delicato per la storia del Paese, l’Unità, con il suo patrimonio di storia e di valori, possa tornare a vivere. Se non ora, quando?”. Nel frattempo, a fronte del fallimento de L’Unità, il segretario generale Raffaele Lorusso ha chiesto al curatore Simone Manfredi “un incontro urgente per esaminare la situazione occupazionale dei giornalisti e avviare un percorso condiviso per assicurare loro un sostegno al reddito del quale, ad oggi, sono privi”.
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