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Facebook scioglie i dubbi: i post possono diventare pubblicità

Dopo una lunga estate di discussioni, Facebook ha sciolto ogni dubbio venerdì: i post degli utenti potranno essere usati come messaggi pubblicitari, sebbene con un sistema di regolazione a disposizione. Già in agosto , il social network propose una revisione del suo “Statement of Rights and Responsibilities”, lo statuto che mette nero su bianco diritti e doveri degli iscritti a Facebook, in particolare in tema di privacy. I ritocchi prevedevano l’uso di nomi, immagini del profilo e altri dati dei membri per annunci pubblicitari.

Immediatamente è scattato un vespaio di polemiche da parte delle lobby in difesa della privacy e della US Federal Trade Commission, che ha intrapreso un esame che definisse se le nuove regole violassero una legge del 2011. Ora sappiamo che le modifiche entreranno immediatamente in vigore. Esame superato?

Secondo Erin Egan, Chief Privacy Officer di Facebook, la discussione e le critiche hanno permesso un perfezionamento delle nuove regole, sebbene, ha sottolineato in un messaggio sul blog , “L’obiettivo dell’aggiornamento era quello di chiarire il linguaggio, non cambiare le politiche o le pratiche”. Qualche volta però (per non dire sempre), le parole sono sostanza, e non bisogna girarci intorno. Per esempio, nella proposta agostana di Facebook, una clausola sosteneva che un utente minorenne dovesse dichiarare che almeno uno dei suoi genitori o tutori legali accettava a i termini di questa sezione (l’utilizzo del nome, della foto e di altri contenuti) per conto loro”. Sulla base del feedback ricevuto, pare che il social network abbia deciso che la clausola era linguisticamente confusa, ed è stata rimossa.

La questione è complessa. Il social network vive di pubblicità e si alimenta di confessioni, preferenze, legami espressi senza troppi pudori dai suoi iscritti. Un patrimonio che non poteva andare perduto nella costruzione di un nuovo modello pubblicitario che marcasse la differenza e attraesse inserzionisti capaci di sostenere i livelli azionari della creatura di Mark Zuckerberg.

Questo patrimonio era già stato declinato in uno dei prodotti di Advertising più recenti e battezzato “storie sponsorizzate” (Sponsored stories), oggetto di una vera battaglia legale finita con una class-action e un accordo da 20 milioni di dollari all’inizio di quest’anno . Per alcuni contenuti sponsorizzati, per esempio, Facebook sfrutta la segnalazione della posizione geografica o i “mi piace” espressi dagli iscritti, che possono essere accoppiati con annunci a pagamento, ammesso che il “like” sia stato dato nell’ambito di un certo programma di business. Questo annuncio sarebbe pubblicabile presso gli amici, in spazi quali il news feed, cronologia, o attraverso il Graph Search, nuovo motore di ricerca del sito.

Ma agli utenti è concessa la facoltà di limitare ulteriormente i destinatari, grazie agli attuali filtri disponibili per limitare gli amici a cui sono visibili i nostri “mi piace “. La pubblicità eventualmente accoppiabile a queste preferenze non potrà superare i confini prestabiliti dagli utenti nel momento in cui le hanno espresse.

Sul fronte della legalità, nulla di nuovo, se non formule di rito del Ftc (Federal trade commission), l’autorità statunitense sul commercio: monitoriamo, verifichiamo, siamo sul pezzo. Ma per ora nessun semaforo rosso. E da venerdì, entro precise condizioni, si sa che un nostro post può diventare una pubblicità.

Fonte: www.lastampa.it

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