Il social network più famoso del mondo, Facebook, è stato sommerso da centinaia di email di protesta sulla censura che avrebbero operato i suoi amministratori nei confronti di “The uprising of women in the Arab World”, una pagina nata più di un anno fa per raccontare le conseguenze delle primavere arabe per le donne della regione.
Nato più di un anno fa dall’idea di un gruppo di donne egiziane, palestinesi e libanesi, il gruppo è diventato con il tempo un centro di discussione importante sulla questione femminile nel mondo arabo, con oltre 62mila supporter. Per celebrare il primo anno di attività, qualche mese fa le fondatrici hanno lanciato una campagna, invitando i fan a inviare una foto insieme a un cartello con scritta su la frase. “Io sto con le donne del mondo arabo perché….” era il messaggio d’obbligo da completare poi con le personali motivazioni. Ammesse tutte le lingue del mondo.
Grande successo mediatico per la campagna che ha visto recapitate centinaia di immagini: dalle foto di donne avvolte nel velo integrale dall’Arabia Saudita, a quelle di supporter maschi dall’Europa agli Stati Uniti e, naturalmente, dal mondo arabo, fino alle immagini di intere famiglie in posa con il loro cartello e i loro tanti perché.
Fino a quando, il 26 ottobre non è arrivata la foto di Dana Bakdounes: canottiera, sguardo deciso, capelli corti la giovane mostrava alla macchina fotografica la foto del suo passaporto. Sul cartello si leggeva: “Sto con le donne del mondo arabo perché per 20 anni non ho potuto sentire il vento fra i capelli”. L’immagine è diretta e forte e sul social network si scatena la protesta. Decine di arabi, donne e uomini, l’hanno trovata insultante e chiesto al sito Internet di rimuoverla.
Facebook, raccontano le fondatrici del gruppo, ha non solo accolto la richiesta, ma fatto di più: di fronte alle scelta delle amministratrici della pagina di mettere di nuovo in linea l’immagine di Dana, i loro account sono stati bloccati senza una spiegazione. Il blocco è stato rimosso dopo qualche giorno, ma la mossa ha comunque provocato la rabbia delle battagliere signore che hanno deciso di indire una 48 ore di protesta contro il social network, chiedendo agli utenti di protestare e inviare mail d’indignazione. I più di 700 messaggi partiti e le richieste di spiegazioni da parte dei media di tutto il mondo – dalla Grecia al Libano passando per Francia e Stati Uniti – hanno costretto Facebook ha fornire spiegazioni ufficiali. La vicenda, secondo una portavoce sarebbe stata “un errore”, un’incomprensione e non un tentativo di censura. La protesta è ancora in corso.