EUROPA E LIBERTÀ DI STAMPA: TRA IMMOBILISMO E TUTELA

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L’europarlamentare Magdi Cristiano Allam, si appella all’Unione Europea per salvare l’ex direttore di Libero, Alessandro Sallusti (condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa), dal carcere. Peccato, però, che la regola gli imponga di non contemplare casi specifici nella sua dichiarazione. Insomma: una vera e propria beffa. Che induce il parlamentare di Bruxelles, noto giornalista e scrittore, ad affidare la sua protesta alle colonne de “Il Giornale”, quotidiano oggi diretto proprio dal giornalista lombardo: «Chiedo scusa a Sallusti, ma mi viene consentito solo di ripetere quanto scritto nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali. Questa è l’Europa». Dove la protesta è concessa. Purché però resti generica. E dunque inutile. Ma è la stessa Europa che difende l’anonimato delle fonti giornalistiche dalle indagini “invasive” della giustizia interna condannato addirittura uno Stato membro al pagamento delle spese processuali.
Ma partiamo dall’inizio e specifichiamo alcuni punti.
È cosa nota che i parlamentari europei possano sottolineare all’Unione Europea la gravità dei problemi nazionali, o anche rilanciare un dibattito già esistente. Il tutto per chiedere un intervento, o magari per pubblicizzare un’iniziativa politica. Nel caso della libertà di stampa, però, così come ha fatto notare uno dei membri dell’assemblea, tale facoltà diventa solo di tipo “formale”.
L’europarlamentare in questione avrebbe voluto porre all’attenzione della Ue la vicenda, già peraltro nota alla Corte di Strasburgo e anche a Bruxelles, del giornalista lombardo, attualmente finito agli arresti domiciliari (e in attesa del processo per evasione), per una condanna a 14 mesi di reclusione, ma tuttora a forte rischio carcerazione. Più volte Ue e la Corte Europea hanno ribadito la necessità di eliminare la prigione per i reati a mezzo stampa. Tuttavia la galera c’è ancora nel Vecchio Continente, anche se difficilmente l’espiazione della condanna dietro le sbarre viene resa esecutiva.
Ad ogni modo Magdi Cristiano Allam (aderente al partito “Io amo l’Italia” e facente parte del Gruppo europeo della Libertà e della Democrazia, in coalizione con l’Udc ) vorrebbe fare appello alla Ue contro la decisione dei giudici italiani di comminare il carcere a Sallusti. Lo strumento per una simile azione? A dire il vero ci sarebbe pure: si tratta, infatti, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione. In particolare l’articolo 11 in cui si afferma che «ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, di opinione, nonché di ricevere o comunicare informazioni e/o idee senza l’ingerenza delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera».
A questo punto sarebbe facile fare leva su tale norma per salvare il direttore del Giornale dalla cella. E invece no. Il primo motivo è stato stabilito dalla giustizia italiana. L’articolo, pubblicato nel 2007 su Libero (e scritto da Renato Farina sotto lo pseudonimo Dreyfus), non proponeva “opinioni”, seppur forti, così come hanno sempre rivendicato i “difensori” del giornalista lombardo, ma una notizia falsa. Ovvero che il giudice tutelare Giuseppe Cocilovo (quello che ha querelato Sallusti) avrebbe «ordinato» ad una minorenne di abortire, causandone un forte stato di disagio mentale. Circostanza, questa, risultata non veritiera.
Ma anche prendendo per buona la tesi della “opinione forte”, l’eurodeputato Cristiano Allam non ha potuto fare nulla per “salvare” Sallusti. Nel suo appello, infatti, così come prescrivono le norme dell’Unione, non è stato possibile descrivere il “caso specifico”. Il parlamentare semmai ha potuto solo rifarsi a “principi generali”. Dunque citare il “caso Sallusti” è diventato impossibile; né si è potuto fare riferimento all’Italia. E ancora: non è stato possibile affrontare il reato specifico di diffamazione. E inoltre la dichiarazione non ha potuto essere critica, ma solo propositiva. Come dire: volete protestare? Fatelo pure, ma in via generica. E senza aspettarvi nulla.
Di conseguenza, come affermato ancora dal rappresentante della Ue, ci si è limitati a «dichiarare genericamente la necessità di garantire la libertà di espressione in tutti gli Stati membri e di armonizzare la legge in materia in modo uniforme». Senza però poter applicare alla lettera i contenuti che pure sono stati inseriti nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. «Questa è la libertà d cui godiamo in Europa» si è sfogato l’europarlamentare.
Un’Europa, quella prospettata del politico di Bruxelles, praticamente “inerte”. Sprovvista del potere, né in possesso della volontà di interferire direttamente con la giustizia interna degli Stati, che è di competenza concorrente, ovvero non esclusiva dell’Unione.
Ma non sempre è così. E un esempio recente lo dimostra. Lo scorso 22 novembre la Corte Ue ha difeso l’anonimato delle fonti dei giornalisti: “lo Stato non può indagare su chi ha rilasciato determinati documenti o dichiarazioni ai giornalisti”. Ed è stata una sentenza ufficiale a garantire questo diritto, spesso “annacquato” nelle singole nazioni.
Il problema è stato affrontato “grazie” ad una causa tra la Telegraf Media Nederland e altri contro lo Stato dei Paesi Bassi. In ballo c’era una vicenda complessa riguardante la fuga di documenti dai servizi segreti alla criminalità organizzata. E vista la posta in gioco, Amsterdam ha deciso di andare fino in fondo. I giudici olandesi si sentivano, in qualche modo, legittimati ad agire. In ballo c’era la sicurezza dello Stato, di certo un diritto non secondario alla libertà di stampa. Quindi le toghe hanno voluto imbastire una vera e propria indagine sulla filiera della “fuga di notizie”. Addirittura prendendo le impronte digitali lasciate sui documenti e pretendendo il rilascio degli stessi. A nulla è valso l’appello dei giornalisti e dell’editore alla protezione delle fonti, diritto garantito dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
I giudici non hanno voluto sentire ragioni. Ed ecco che è scattato un ricorso alla Corte di Strasburgo. Che, a ruota, ha dato immediatamente torto alle toghe del Paese dei tulipani affermando che l’azione della magistratura nazionale, consistita nell’ordine di consegna dei documenti e nella rilevazione delle impronte, aveva l’obiettivo di identificare le fonti, ledendo così il diritto dei giornalisti a tenerle anonime. E non è finita qui. L’Olanda, infatti, è stata condannata a sborsare 60 mila euro per le spese processuali sostenute dai giornalisti.
Come a dire? Caso Sallusti? La Ue non può metterci becco. Ma in fatto di tutela delle fonti, l’intervento c’è, eccome! Tradotto in soldoni: abbiamo visto due facce separate, a mo’ di Giano bifronte, della stessa Europa.

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