L’Agcom è nuova di zecca e già si è beccata dall’Europa il marchio di essere troppo pro Mediaset.
E’ il senso di una lettera che la Commissione europea ha mandato all’Autorità garante delle comunicazioni, i cui vertici sono cambiati a luglio. Si tratta di un parere formale, richiesto, in merito a una vicenda delicatissima: la futura asta frequenze per il digitale terrestre, dalla quale secondo Mediobanca lo Stato potrebbe incassare circa un miliardo di euro.
Questo governo aveva chiesto ad Agcom (con la legge 44 del 2012) di scrivere il regolamento del bando di gara, su cui l’Europa ha i fari puntati. L’asta infatti è condizione perché Bruxelles cestini una procedura d’infrazione, aperta contro l’Italia, per l’eccessiva chiusura del nostro mercato televisivo. Ma per ottenere questo risultato, il regolamento Agcom e la conseguente futura asta dovrebbero seguire le indicazioni fornite dalla Commissione nella lettera.
L’Europa chiede che l’Italia risolva il problema facendo nascere nuove emittenti tv grazie alle frequenze aggiuntive. Peccato che – è la critica della Commissione ad Agcom- il regolamento sembra andare in senso opposto. Favorisce i big, Mediaset in primis, e tiene a bada i nuovi. Riserva solo una frequenza ai nuovi entranti, infatti, e stabilisce basi d’asta molto alti (20 milioni per le frequenze assegnate per cinque anni e 60 milioni per quelle a 15 anni).
L’aspetto più critico è un altro, però: di fatto, consentirebbe a Mediaset, con un semplice giochetto, di arrivare a sei multiplex (frequenze), superando il limite di cinque imposto dall’Europa a ciascuna emittente. Mediaset ha oggi infatti già quattro multiplex per il digitale terrestre; più uno per il Dvb-h (tv sul cellulare), che in qualsiasi momento può chiedere di convertire al normale uso televisivo. E’ una frequenza molto buona, priva di interferenze, per farci il digitale terrestre, a detta degli esperti (tra cui Antonio Sassano, docente della Sapienza).
Ecco quindi come potrebbe fare Mediaset, grazie all’assist fornitole da Agcom: «Partecipare alla gara, ottenere il quinto multiplex e poi, con comodo, chiedere la conversione di quello Dvb-h e arrivare a sei», spiega un esperto della vicenda, presso Agcom, che preferisce restare anonimo.
Ecco perché l’Europa ha chiesto all’Autorità di considerare anche i multiplex Dvb-h e di altre tecnologie analoghe, nel computo per arrivare al tetto massimo di cinque. Significa di fatto vietare a Mediaset di partecipare alla gara. Un bello smacco, considerando che finché c’era il governo Berlusconi, l’emittente contava invece in un risultato opposto: non solo mettere le mani su ulteriori frequenze, ma anche averle gratis. Il governo Monti ha infatti trasformato in asta onerosa quella che doveva essere una gara gratuita (“beauty contest”).
Rai si trova in una situazione analoga ma di fatto è penalizzata rispetto a Mediaset. Ha quattro multiplex, più uno assegnato ora a sperimentazioni per le future evoluzioni del digitale terrestre. Può chiederne la conversione, in teoria, al normale digitale terrestre; peccato che il multiplex extra sia “sporco”, cioè soggetto a molte interferenze. A Rai allora potrebbe convenire piuttosto rinunciare alla frequenza sporca e poi aggiudicarsene una buona, all’asta. A Mediaset conviene invece chiedere la conversione e ottenere così un’altra preziosa frequenza senza colpo ferire.
Comunque vada, cade in piedi. Certo è che bisogna chiudere la faccenda subito – Agcom la riesaminerà mercoledì- per scongiurare la procedura d’infrazione europea. La figuraccia, con l’Europa, sembra invece già inevitabile. Loro ci davano una chance per dimostrare che volevamo aprire il nostro mercato e noi abbiamo mostrato la solita vecchia tentazione di concentrare frequenze nelle mani dei più forti. Si consideri che siamo già in ritardo sulla tabella di marcia desiderata dall’Europa: secondo la legge 44, Agcom avrebbe dovuto fare il regolamento entro giugno, ma le nuove nomine hanno preso più tempo del previsto e così è stato necessario rinviare. «E’ sacrosanto che la Commissione abbia ribadito i principi che l’Europa ha sempre considerato essenziali per chiudere la procedura d’infrazione. Il fine delle nuove frequenze non era di darne altre ai dominanti ma, all’opposto, consentire la nascita di nuovi soggetti», dice Paolo Gentiloni (Pd), ex ministro delle Comunicazioni. Forse era difficile aspettarsi qualcosa di diverso, da un’Autorità dove due consiglieri su quattro sono di nomina Pdl, di cui uno (Antonio Martusciello) è un ex dirigente Fininvest.
Adesso può ironizzare anche l’ex ministro Paolo Romani (Pdl), padre dell’abortito beauty contest: «La partita per evitare la procedura d’infrazione sembrava chiusa, con il precedente governo, e ora si riapre. Per il legittimo intento del governo di fare cassa, la questione viene rimandata e così sono ostacolati gli investimenti che le emittenti possono fare grazie alle nuove frequenze».