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Equo compenso, risposta al precariato o merce di scambio? Intanto si riunisce la Commissione

L’equo compenso per il lavoro giornalistico tornerà ad essere oggetto di un nuovo incontro della Commissione.

E’ passato praticamente un anno e mezzo da quando è stata approvata la legge 31 dicembre 2012, n. 233, ma oltre a mille chiacchiere nulla è stato fatto. Non si trovano gli accordi, l’equo compenso, si sa, e teoricamente non si può dire, è diventata una merce di scambio per arrivare al contratto nazionale di lavoro giornalistico.

Che l’equo compenso non c’entri nulla con il rapporto di lavoro dipendente, poco conta. L’importante è dare fiato alle trombe, anzi ai tromboni. La legge è stata approvata nel 2012, il Governo Monti aveva appena liberalizzato le tariffe professionali, ma le pressioni dell’ordine dei giornalisti avevano portato il parlamento ad approvare una legge che di liberale non ha nulla. Da un lato, infatti si aboliva, per tutti gli iscritti agli ordini professionali, il riferimento a delle tariffe, prevedendo che gli onorati devono essere, semplicemente, concordati tra le parti, mentre, dall’altro ed allo stesso tempo, per una sola categoria professionale veniva introdotto un istituto, l’equo compenso, addirittura regolato da una Commissione ministeriale, in puro spirito ottocentesco. Ed alla faccia del mercato.

In realtà il problema vero, quello di fondo, era, come è, quello dei giovani che non trovano spazio nelle redazioni e che vanno avanti di collaborazione di collaborazione, in attesa di improbabili regolarizzazioni. Il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali da parte di tutte le imprese editrici impedisce nuove assunzioni: se licenzi non puoi assumere, se metti in cassa integrazione non puoi assumere, se ricorri alla solidarietà non puoi assumere. Quando si parla di futuro, di giovani, questa è la realtà dalla quale si deve partire, con consapevolezza, se si vuole fare. Dire è un’altra cosa.

In un mondo che funziona l’equo compenso è il punto di equilibrio tra domanda ed offerta, l’equità viene da sola, ma è necessario che le regole del gioco siano fluide. Introdurne altre significa creare altri ostacoli, lacci e lacciuoli che creano inutili sovrastrutture. Le sanzioni già esistono per chi non rispetta le regole in materia di lavoro, non serve introdurne altre. L’equo compenso è un prezzo, un altro, pagato al populismo della lamentela, mestiere di moda, redditizio nel breve per chi lo esercita, sterile nel medio periodo per tutti.

I giovani hanno bisogno di speranze, di fiato lungo, di progetti che guardano avanti, oltre il futuro. Il presente fatto di tavoli di concertazione, commissioni ministeriali ed ammortizzatori sociali è il frutto delle politiche dei bla bla bla.

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