In relazione all’aspra discussione tra over the top ed editori sull’equo compenso per i contenuti giornalistici, in Italia si discute nelle aule di Tribunale. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha ribaltato una precedente decisione del Tar Lazio che metteva in discussione l’obbligatorietà per le grandi piattaforme di riconoscere un compenso agli editori. Parliamo di principi, in quanto non vi erano somme in gioco; Meta nel ricorso aveva sostenuto, , semplicemente, che la normativa italiana non fosse applicabile perché lesiva della libertà di stabilimento. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha esultato per la decisione del Consiglio di Stato. E la palla in Italia è tornata al centro, per cui, al momento e in attesa di una futura decisione degli organi di giustizia dell’Unione Europea, per le piattaforme viene rispristinato l’obbligo di contrattare con gli editori. In Francia l’Antitrust ha avuto più coraggio della nostra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non è un grande sforzo in realtà, e senza tanti sofismi ha irrogato una sanzione a Google di 250 milioni di euro per l’indebito sfruttamento dei contenuti. Una somma infinitamente più grande di quella che la società pagherebbe agli editori in Italia nell’ipotesi in cui si accordasse. La risposta di Google è stata quella di difesa, legittima, parlando di sproporzione della sanzione e una constatazione, intelligente: come verrebbero ripartite e da chi le eventuali risorse derivanti dalle sanzioni tra gli editori. Il punto è tutto qua. I produttori di contenuti non sono in condizioni di contrattare con le grandi piattaforme in assenza di una condivisione del merito e del metodo da parte di queste ultime. E la strada da seguire dovrebbe essere un corrispettivo globale da versare in un Fondo da ripartire tra gli editori. Ma prima andrebbero fissate le regole e per farlo diffidiamo delle Autorità, poche autorevoli e per nulla indipendenti. Si pensi ad una legge di riforma che vada nella direzione delle dichiarazioni di ieri del Presidente della Repubblica che ha, per l’ennesima volta, ribadito che la libertà d’informazione e il pluralismo hanno come presupposto la sostenibilità economica delle imprese.