“Tre euro l’ora. Questa sarà la paga per il 60 per cento dei giornalisti italiani, con la firma della delibera attuativa della legge sull’equo compenso, emanata venerdì 20 giugno, per i giornalisti freelance e con contratti atipici”. Esordisce così la petizione lanciata da Andrea Palladino, sul sito Change.org e indirizzata al sottosegretario Luca Lotti, con delega all’editoria affinché “ritiri la delibera attuativa della legge sull’equo compenso per i giornalisti freelance e atipici”. “È il prezzo che gli editori sono disposti a pagare per realizzare servizi e inchieste”. scrive Palladino. “E il sindacato? Ci mette la firma. La Federazione nazionale della stampa, senza consultare i diretti interessati ha siglato un accordo ritenuto inaccettabile persino dall’Ordine dei Giornalisti.
“I freelance e gli atipici rappresentano la maggioranza assoluta dei giornalisti attivi. Sono loro – sottopagati – a “consumare le suole delle scarpe”, portando le notizie, mantenendo i contatti quotidiani con le fonti, rischiando, quando va bene, qualche querela di troppo. Oppure sono usati come jolly nelle redazioni, rimanendo eternamente in attesa di un contratto, sempre più lontano. Sono il cuore dell’informazione italiana. A basso prezzo, pagati meno che in Brasile, per fare un esempio. L’accordo per l’equo compenso era l’occasione fondamentale per affrontare l’anomalia italiana del giornalismo peggio pagato d’Europa. Alla fine, il testo proposto prevede un compenso “equo” di appena 250 euro lordi. Chi fa questo mestiere sa quante ore di lavoro servono per preparare un servizio di qualità. A volte occorrono giornate intere, soprattutto nel giornalismo d’inchiesta. I costi di produzione (documenti, benzina, telefono, treno) ricadono sempre su chi scrive. Si lavora in solitudine, spesso senza poter mettere piede in redazione.
L’accordo siglato dagli editori e dalla Fnsi è palesemente anticostituzionale. La legge sull’equo compenso prevede l’attuazione – per tutti i giornalisti con contratti atipici – dell’articolo 36 della Costituzione, che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. La legge, in questo senso, affidava ad una commissione mista – governo, sindacati, editori, Ordine dei Giornalisti e cassa previdenziale – l’elaborazione di una tabella di compensi “proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria”. È una montagna che ha partorito un topolino scandaloso: è evidente che non esiste alcuna proporzione tra i lauti salari di chi è contrattualizzato con i 250 euro lordi mensili riconosciuti nell’accordo truffa.
In gioco non c’è solo la sopravvivenza di migliaia di professionisti, ridotti alla fame. C’è il diritto costituzionale della libera informazione, perché è evidente che un giornalista sottopagato è ricattabile, prima di tutto dal suo editore. A queste condizioni non è possibile informare con la dovuta cura, rispettando la deontologia professionale, andando oltre il semplice copia e incolla di un comunicato stampa, verificando rigorosamente le notizie, sentendo le fonti anche non ufficiali, approfondendo i temi che si vogliono trattare. Il mestiere di scrivere diventerà un semplice hobby, certificando, dunque, che “possono scrivere sui giornali – come scrive Alessandro Robecchi – solo i ricchi di famiglia e i vincitori all’Enalotto”.
C’è anche un altro aspetto che non va trascurato, una trappola nascosta. Questo è il primo intervento legislativo nel campo della tutela dei precari, stabilendo con un provvedimento ad hoc un tariffario minimo. A chi toccherà prossimamente? È un accordo che dovrebbe preoccupare anche i giornalisti contrattualizzati. Per ora gli editori stanno scaricando la riduzione del costo del lavoro completamente sui precari; ma il prossimo passo riguarderà loro. Con la scusa della crisi le redazioni verranno svuotate, affidando i contenuti ad un esercito di freelance e atipici, trasformati – per fame e necessità – in “yes man”, macchine ad alta produttività. Questa deriva è già presente nel giornalismo italiano. Il futuro – se non reagiamo – sarà peggiore. Per tutti.
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