La Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 4292 del 30 maggio 2024 sancisce la sconfitta dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella querelle con le grandi piattaforme per la questione dell’equo compenso da riconoscere alle imprese editoriali per l’utilizzo dei contenuti. Mancano ancora le motivazioni della sentenza ma la lettura del dispositivo è chiara: la delibera dell’Autorità viola la libertà di stabilimento in quanto obbliga soggetti con sede in altri stati membri ad iscriversi al Registro degli operatori della comunicazione, a comunicare i propri dati e a versare un contributo economico per le spese di funzionamento della stessa Autorità. Un po’ ha sorpreso il mancato riverbero che una notizia del genere non ha avuto sugli stessi giornali che, teoricamente, avrebbero avuto interesse ad un diverso esito del giudizio. La pubblicazione della delibera da parte dell’Autorità ebbe, infatti un’eco mediatica altissima in quanto sembrava che le difficoltà del comparto fossero state risolte. In realtà, la delibera era sostanzialmente una mera applicazione di un decreto legislativo a sua volta frutto del recepimento di una direttiva dell’Unione. E, sempre nella realtà dei fatti, le grandi piattaforme, mentre preparavano i ricorsi giurisdizionali che poi si sarebbero dimostrati vincenti, disapplicavano interamente le norme (Meta) o le applicavano (Google) con criteri che addivenivano a proposte a dir poco offensive per le imprese editoriali. A quotidiani con oltre quindici giornalisti professionisti assunti sono arrivate offerte di poche decine di euro al mese. Sulla forma hanno vinto le grandi piattaforme. Nella sostanza, il grande sconfitto è l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: non per la tutela del pluralismo, infatti, come detto, gli effetti dell’applicazione della normativa in tema di equo compenso erano a dir poco ridicoli; ma per la tutela di sé stessa in quanto i contributi delle grandi piattaforme avrebbero consentito di rimpinguare in maniera sostanziale il proprio bilancio. Esiste poi una realtà in cui ci sono Davide e Golia e l’impressione è che il dialogo non possa più essere tra grandi piattaforme e imprese editoriali, ma tra le prime e gli Stati. Molti editori si stanno suicidando puntando sull’intelligenza artificiale per ridurre i costi senza comprendere che stanno fornendo un’enorme massa di dati alle grandi piattaforme che le utilizzeranno per produrre autonomamente i contenuti. E, intanto, sempre le grandi piattaforme stanno sempre più deindicizzando i contenuti professionali, giusto per dare il senso, la direzione. Al momento non c’è partita e serve coraggio, tanto coraggio per evitare che poche multinazionali abbiano in mano l’informazione del futuro. Altro che pluralismo.