Eni ha deciso: sarà un bando di gara a decidere del futuro dell’agenzia Agi. Anzi no. Dopo che la notizia è rimbalzata ovunque nelle scorse ore, il colosso energetico a partecipazione pubblica ha smentito intenzione di mettere in vendita l’agenzia e di farlo non con una trattativa privata bensì ricorrendo a una procedura pubblica. Sembrava che, così, da Eni avessero ritenuto di poter venire incontro alle richieste avanzate dai giornalisti Agi che si opponevano alla cessione dell’agenzia alla famiglia Angelucci. O, almeno, che chiedevano più trasparenza e chiarezza attorno all’operazione. E invece no. Eni ha bollato l’Agi come un’anomalia infiammando, ancora di più, il dibattito attorno all’affare.
Nei giorni scorsi la protesta era arrivata anche in piazza a portare al grande pubblico le ragioni dei giornalisti che, sul loro cammino, hanno trovato la solidarietà del sindacato e dei partiti politici della minoranza, Pd in testa. Già, perché Angelucci è un parlamentare della Lega e già possiede diverse testate mentre continua ad acquistare con l’idea di un vero e proprio “polo editoriale” di centrodestra. Un progetto politico ed economico preciso. Che va in tutt’altra tendenza rispetto a quello inaugurato, per esempio, da Gedi a guida Elkann. Che, invece, sta cedendo praticamente tutto ciò che può cedere, ultimo (e non resterà l’ultimo) solo in ordine di tempo il Secolo XIX passato nelle mani della famiglia degli armatori Aponte.
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