Chi è veramente Amina Arraf? Esiste davvero una blogger siriano-americana, femminista e lesbica, attivista anti-Assad che è stata rapita da uomini armati due notti fa come qualcuno ha scritto sul suo stesso blog, scatenando una grande campagna di solidarietà sul web? Nelle ultime 24 ore la vicenda della “Gay Girl in Damascus”, come Amina aveva intitolato il suo popolarissimo blog personal-politico, è diventato un vero giallo della Rete.
In questi ultimi mesi Amina è stata citata – e anche intervistata ma sempre solo via email – da tutti i maggiori media mondiali. Il suo blog era diventato un punto di riferimento per alcuni motivi fondamentali: il mix di racconto erotico esplicito e analisi in tempo reale di quel che sta accadendo in Siria dal punto di vista di una giovane dissidente, e soprattutto il suo linguaggio molto “occidentale”. Amina del resto è americana, dice nel blog di essere nata in Virginia da madre americana e padre siriano, e da come scrive, si esprime, ironizza, polemizza si capisce che la sua è un’educazione assolutamente americana. Dunque un ottimo “mediatore” per chi tenta dall’Occidente di raccontare la rivolta araba, con il plus della condizione di omosessuale in un paese rigidamente omofobo. Così come piuttosto liberale appare la famiglia della ragazza, a partire dal padre che diventa protagonista del blog nel post “Mio padre, il mio eroe”. il più citato – e davvero di forte impatto emotivo – in cui Amina racconta come già un mese fa uomini armati vennero a casa sua per arrestarla, minacciando di stuprarla, e suo padre l’abbia difesa umiliando gli agenti e costringendoli a lasciarla in pace. La minaccia si sarebbe avverata due sere fa, in una strada di Damasco, quando tre uomini avrebbero prelevato Amina spingendola in un’auto davanti a un’amica che ha dato l’allarme. Il fatto è stato raccontato sul blog di Amina da qualcuno che si firma come sua cugina, con un seguito un paio d’ore più tardi e silenzio assoluto da allora.
A sollevare i dubbi sulla vicenda è stato il giornalista di Npr Andy Carvin, molto noto per aver creato negli ultimi anni la più straordinaria rete di contatti sul web con gli attivisti delle “primavere arabe” e ritenuto tra i più attendibili “interpreti” del tam tam della Rete.
Lo ha seguito il blog The Lede del New York Times. Con le dovute cautele – “forse mentre ne parliamo Amina viene brutalizzata in qualche prigione siriana”, ha detto nel suo lungo post sulla vicenda – Carvin mette in fila i motivi che lo portano a pensare che dietro Amina si possa nascondere un “nom de plume” letterario (nel migliore dei casi), se non addirittura una bufala. Nessuno dei contatti della comunità LGBT siriana – che pure vive in clandestinità essendo l’omosessualità proibita in Siria – ha mai incontrato Amina di persona o ne conosce la famiglia. Nessuno dei giornali che in queste ore hanno tentato di mettersi in contatto con i familiari di Amina sembrano aver avuto successo. La stessa asserita “partner” di Amina, una canadese di nome Sandra Bagaria, ha dichiarato oggi al New York Times di aver sempre parlato con la giovane blogger siriana solo via email, di non essere mai riuscita a vederla su Skype, pur dicendosi assolutamente certa della sua esistenza perché dice di avere centinaia di sue email e molte fotografie.
Ora, anche la questione delle foto è un vero mistero. Sulla pagina Facebook creata per Amina – non si sa da chi, probabilmente dalla stessa Bagaria – sono comparse alcune foto di una giovane attraente e con alcune caratteristiche somatiche molto definite. Ieri sera, dopo aver visto la foto pubblicata sul sito del Guardian, una donna inglese ha diffuso una nota stampa sostenendo di essere lei la donna nelle foto. Molti siti, come l’Huffington Post, hanno ritirato l’immagine sostituendola con un’altra (apparentemente della stessa persona, identificata come Jelena Lecic) e aggiungendo una didascalia in cui si sostiene che si “sta indagando” sulla veridicità delle immagini. (Repubblica.it)
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