Stamattina il Parlamento in seduta comune è convocato per procedere all’elezione di un giudice della Corte costituzionale e di un componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Tra gli aspiranti al massimo organo giudiziario italiano c’è anche il presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò. Purtroppo, però, tale aspirazione potrebbe essere frenata dalle ultime vicende che hanno reso alquanto criticabile l’Agcom e il suo operato. Una delle Autorità – come scrive il senatore di Italia dei Valori e presidente Adusbef Elio Lannutti in un’interrogazione parlamentare – «meno efficienti, non molto utile sotto il profilo della tutela degli utenti e dei consumatori, essendo adusa a deliberare a senso unico e nella quasi esclusiva salvaguardia degli interessi degli operatori della telefonia e delle grandi imprese e tra le più costose con fior di uffici ubicati tra Napoli e Roma». A tal proposito, un articolo di Gian Maria De Francesco pubblicato su ‘Il Giornale’ mette in evidenza come, nel bilancio Agcom del 2010, le spese complessive per il personale sono state pari a 48,4 milioni di euro divisi tra 350 unità di personale con un costo pro capite di circa 138mila euro. Salari che sfiorano i 100mila euro per il personale operativo con maggiore anzianità fino a 150mila euro per i funzionari e 200mila per i dirigenti. Il presidente Calabrò e gli otto commissari guadagnano rispettivamente 475mila e 396mila euro, tagli di Tremonti inclusi.
Tutto per un’istituzione che si fa sentire solo in occasione delle elezioni per multare le emittenti che non rispettano la par condicio ma poi permette al governo una costante campagna elettorale attraverso Tg che non sono per niente imparziali. Un’istituzione che, come sottolinea un comunicato stampa del Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione Media e Minori, in aperto contrasto con le direttive comunitarie, sta realizzando un progressivo smantellamento del sistema della protezione dei minori nelle trasmissioni televisive. «Con una forzata interpretazione della normativa, l’Agcom, nella delibera n. 220/11/CSP del 22 luglio 2011, ha spalancato l’accesso televisivo alle trasmissioni gravemente nocive per i minori, disattendendo peraltro ai requisiti richiesti dalla norma riguardo: alla verifica della maggiore età dell’utente che intende accedere ai contenuti ‘adult’, alle modalità non riservate di comunicazione del codice e alla genericità del codice, attualmente fornito in maniera standardizzata dai produttori di apparati riceventi, pur con facoltà di modifica da parte dell’utente».
Anche sul piano del diritto d’autore l’Autorità non ha avuto grande successo. L’ultima delibera contenente il nuovo regolamento in materia ha alzato un tale polverone di contestazioni da parte di politici, associazioni di consumatori, blogger, semplici cittadini preoccupati di vedersi limitare la libertà nell’utilizzo della rete da costringere l’Autorità a ritirare il provvedimento per sottoporlo ad una nuova consultazione pubblica.
Un polverone che avrà anche ripercussioni legali, invece, è il ricorso che stanno portando avanti gli editori contro le recenti modifiche al regolamento per la tenuta del Registro degli Operatori della Comunicazione. Attraverso la delibera n. 283/11/CONS l’Agcom ha preteso dalle società editoriali una tale ampiezza di informazioni da creare serie difficoltà a queste ultime e compromettere l’accesso alle provvidenze per l’editoria.
Insomma, se ad eleggere il nuovo giudice della Corte costituzionale, non fossero «gli Onorevoli Senatori» ma gli editori, gli utenti, i telespettatori, i liberi navigatori di internet, le associazioni di categoria – quelle persone che, per intenderci, dovrebbero essere tutelate dall’Autorità – il presidente Calabrò non avrebbe nessuna chance.
Antonietta Gallo
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