Giornalisti nel mirino in Egitto, paese sempre più sull’orlo della guerra civile. Mercoledì scorso, nel giorno che i pro-Morsi hanno ribattezzato la Tienanmen del Cairo, i cronisti uccisi sono stati tre ai quali va aggiunto un fotografo. Quindici quelli feriti. Ieri diversi inviati stranieri sono stati fermati e trattenuti per ore dalle forze dell’ordine egiziane. Tra loro quattro inviati italiani. Si tratta di Maria Gianniti e Sergio Ciani (di Radio Rai), Gabriella Simoni (Mediaset) e il suo operatore, Arturo Scotti. Stessa sorte per alcuni francesi, e altri due occidentali (un britannico e un americano). I cronisti sono stati fermati dai militari a piazza Ramses, teatro dello sgombero della moschea al Fatah occupata dalla notte tra venerdì e sabato da un centinaio di sostenitori dell’ex premier Morsi. Sono stati fermati “per garantire la loro sicurezza”, hanno spiegato i militari dopo il “rilascio”, ore interminabili in cui la “protezione” garantita dall’esercito si è trasformata in un controllo intensivo di filmati, documentazione, telefoni.
“Ci hanno bendati per portarci in un luogo con altri colleghi, sono state ore di angoscia”, ha raccontato Simoni in collegamento con Studio Aperto dopo il rilascio. “C’è stata un’aggressione – ha continuato – mentre stavamo lavorando intorno alla Moschea Al Fath in piazza Ramses, quella in cui erano stati assediati alcuni manifestanti per tutta la notte. Noi stavamo raccontando questa cosa, come gli altri colleghi che erano lì con noi e c’è stata un’aggressione in particolare nei miei confronti perché noi abbiamo una telecamera, siamo una televisione, e in questo momento coloro che avevano visto le barricate bruciare tutta la notte per questi scontri con i Fratelli musulmani erano arrabbiatissimi con Al Jazeera tanto che qualunque persona cominci a gridare Al Jazeera scatena un inferno. Ed è questo che è successo. Fortunatamente noi avevamo un traduttore che è di quella zona e che è quindi riuscito a portarci in salvo. Poi però è intervenuto l’esercito perché nel frattempo la piazza era di nuovo al centro di scontri”. “La cosa più difficile – ha raccontato ancora l’inviata di Mediaset – è stata non poter dire alla mia famiglia e ai colleghi che stavo bene. E’ stata la cosa che mi ha angosciato di più momento dopo momento. Tecnicamente, però, la cosa più difficile l’ho provata quando sono stata bendata, messa su una macchina e trasportata in luogo ignoto. Una cosa che non avevo mai provato e che dà una sensazione di fragilità e di impotenza incredibile”. “Ora – ha assicurato la giornalista di origini fiorentine – sto bene, sto andando verso l’ambasciata italiana. E’ finita questa situazione molto difficile. Qui – ha incalzato – ci sono due forze contrapposte e uno stato di polizia, di fatto. Ecco perché in queste ultime ore hanno controllato tutti i documenti, tutte le dichiarazioni che abbiamo fatto e soprattutto i nostri telefonini, il materiale che avevano girato. Ci hanno bendato per portarci in questo posto ignoto e ho sentito (vedere non mi era possibile) che c’erano altri giornalisti, alcuni francesi. Poi sono stata raggiunta dalla collega di Radio Rai che è stata portata lì anche lei. Nel frattempo si è mossa l’ambasciata”. “Sono stati rapidissimi per i tempi che normalmente ci sono in queste situazioni, visto che comunque siamo in una situazione molto difficile e precaria con uno stato di polizia di fatto che poi è l’esercito che può decidere di trattenere chiunque per qualunque tempo senza dare la possibilità di avvertire, cosa che io ho cercato di fare con degli sms” ha concluso Simoni.
”Eravamo distanti dalla moschea un centinaio di metri. Abbiamo fatto il collegamento delle 13”, ha ricordato invece Ciani. ”Ci avevano già preso i passaporti per i controlli, poi è arrivato un van e ci hanno portato in una struttura di polizia, dove abbiamo incontrato Gabriella”, ha continuato. ”Siamo stati in una stanzetta per cinque ore, sono stati assolutamente gentili”.
“Stiamo bene, siamo stati fermati ma poi fortunatamente la cosa si è risolta. Questo fa capire un po’ il clima di tensione che c’è a Piazza Ramses” ha affermato, dal canto suo, ai microfoni di Radio Uno Rai l’inviata del Giornale Radio Rai, Maria Gianniti. “Siamo stati portati in un luogo che non saprei dire quale fosse e li – ha detto Gianniti – abbiamo trovato l’inviata in Egitto di Studio Aperto e Tg4, Gabriella Simoni e il suo operatore. Erano un po’ frastornati”. Comunque, ha sottolineato l’inviata Rai, ”siamo stati veramente trattati con i guanti bianchi. Siamo stati semplicemente interrogati e ci è stato chiesto che cosa stessimo facendo in Egitto. Abbiamo detto che siamo giornalisti e che stiamo coprendo l’evento”. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ha raccontato ancora Gianniti, “eravamo a Piazza Ramses. C’erano gruppi anti-morsi che erano intorno alla Moschea al Fatah. Siamo stati portati dai militari perché si sono preoccupati per la nostra sicurezza. Un qualcosa di assolutamente improvviso e paradossalmente siamo stati bloccati per tutelare la nostra sicurezza”.
Il timing è fondamentale: già alle 11 di ieri mattina l’area antistante la moschea si era riempita di manifestanti anti-Morsi, con la polizia e l’esercito impegnati più a contenere questi ultimi che ad assediare la moschea. Poi gli spari in piazza, la tensione crescente con i ragazzi armati di bastoni che intimavano di non filmare né riprendere. Alle 13 è scattato l’ultimatum delle forze dell’ordine ai Fratelli musulmani asserragliati in moschea, e i giornalisti stranieri sono rimasti oggetto di aggressioni più dure e portati via dai militari. Infine l’assalto alla moschea, con i pro-Morsi scortati dalla polizia che hanno rischiato il linciaggio della folla. Il clima per i giornalisti, stranieri e non, in Egitto è peggiorato dopo lo sgombero delle piazze dei pro-Morsi al Cairo, Rabaa e Nahda. Gli attivisti dei fronti opposti accusano la stampa internazionale di non dare conto di quello ”che sta veramente accadendo in Egitto”.
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