“Internet e tutto il vasto mondo web ha completamente trasformato il paesaggio. Siamo oggi in presenza di inimmaginabili nuove e vaste entità che acquistano la loro dimensione pubblicando non solo un selezionato numero di storie ma tutto nel mondo. I social network e i motori di ricerca sono i veri padroni dell’universo. Siccome vediamo la scomparsa della stampa come mezzo significativo, e al tempo stesso il declino della televisione, le vie del giornalismo dovranno puntare a raggiungere lettori e spettatori che si sono modellati su delle tecnologie che sono al di là del nostro controllo”.
“La più forte tendenza oggi nel giornalismo è la piena integrazione, attraverso il web, tra cronaca, presentazione e distribuzione. Oggi la nuova ‘newsroom’ ha uffici di ottimizzazione, per realizzare storie che funzionano meglio sui social media, esperti in sondaggi e analisi di dati che analizzano il prodotto informazione e suggeriscono al giornalista in che modo scrivere i titoli, impostare le foto e raccontare le storie che saranno più apprezzate e condivise di altre. Hanno uffici di aggregazione, che navigano nel web a caccia di notizie che la gente comune ha postato per ottenere un’audience più alta. Hanno uffici dedicati proprio all’audience, impegnati a trovare le formule per far in modo che più persone dedichino un tempo maggiore a leggere più giornalismo. E hanno uffici di elaborazione dati, sempre per ottimizzare tutto quanto viene prodotto”.
“Non ha grossa importanza dove un lavoro giornalistico sia pubblicato, se in televisione, in un magazine di gossip o in terza pagina, il criterio base è che venga condiviso e discusso nell’universo digitale. In questo modo è come se il giornalista svolgesse il suo lavoro in uno spazio aperto, lontano dal contesto manageriale della suo stesso mezzo d’informazione. Integrazione col web significa rispondere, in modo veloce, a ciò che la gente vuole. I modi in cui sono state disegnate le piattaforme dei nuovi social media incoraggiano certi tipi di giornalismo. Ci sono dei format precisi. Ad esempio, funzionano molto gli elenchi, le graduatorie, molto bene le foto, le partite funzionano benissimo, i titoli devono essere intriganti e accattivanti, c’è spesso bisogno di passare rapidamente dal sublime al ridicolo e caso mai al drammatico: perfetto un gatto che lotta con un gomitolo, o un wombat (piccolo marsupiale australiano, ndr) che cade dal sofà. Una storia virale è il santo graal. E storia virale non significa qualche centinaio di migliaia di contatti, vuol dire milioni. A volte decine di milioni”.
“Il giornalismo, oggi, è un filo sottile all’interno di una nuova, vasta tappezzeria di conversazione e informazione. Ma quel filo, vorrei dire, tiene insieme il tutto, mantiene l’unità di quel vestito, perchè quando funziona come si deve, dà alla gente un nutrimento quotidiano di importante, interessante, stimolante e accattivante informazione”.
“Abbiamo bisogno dei valori del giornalismo nel software, così come abbiamo bisogno che i sistemi di software supportino il giornalismo. Ma cosa sono i ‘valori’? Essere sicuri che le notizie siano precise, e ritenersene responsabili in caso non lo siano, essere trasparenti circa la fonte delle storie e delle informazione, saper fronteggiare governi, gruppi di pressione, interessi economici, le forze di polizia se ti intimidiscono, impauriscono o ti censurano”.
“Saper proteggere le proprie fonti. Essere consapevole che quando hai un forte interesse pubblico da difendere puoi anche infrangere la legge, ed essere pronti ad andare in galera per difendere la propria storia e la propria fonte. Sapere quando non è etico pubblicare qualcosa. Bilanciando i diritti individuali alla privacy con i più ampi diritti dell’interesse pubblico. Non ritengo che la stampa tradizionale si sia sempre coperta di gloria portando avanti queste funzioni. Ma penso che possiamo tutti concordare che questi principi sono i requisiti di base per chiunque intenda fare del buon giornalismo”.
“Google e Facebook sono di gran lunga più smisurate e ricche di tutte le altre entità che hanno popolato fino ad oggi il mondo dei media, e più influenti in termini di potere rispetto a qualsiasi gruppo editoriale nella storia. (…)Gli ingegneri non sono abituati a riflettere sulle conseguenze morali di certe scelte, sono educati a produrre sistemi efficienti, quei sistemi che in perfetta buona fede e a pieno diritto ritengono possano migliorare la società. In pari tempo, la gran parte dei giornalisti sono parecchio a digiuno di conoscenze tecnologiche per comprendere che lo stesso modo in cui viene disegnato il software – e ciò ha a che vedere con gli algoritmi – rappresenta essenzialmente una scelta editoriale. Entrambe le ‘facce’ del problema devono cambiare, e proprio su questo versante ci stiamo impegnando con grande serietà alla Scuola di Giornalismo della Columbia. Il nostro programma di ricerca al Town Center, infatti, punta a focalizzare e trovare l’intersezione fra tecnologia e giornalismo, e di come ciò sta cambiando e cambierà tutto lo scenario”.
“Cerchiamo di capire, ad esempio, in che modo le nuove tecnologie, dai droni ai sensori, fino alla realtà virtuale, e fino ai maghi che leggono e scrivono storie, tutto ciò finisce con l’influenzare il giornalismo. Etica e legalità sono centrali in questi studi. Altro argomento base di studio per il corso di quest’anno, il rapporto di interazione e collaborazione tra le piattaforme dei social e il giornalismo inteso in senso tradizionale; così come la reale responsabilità algoritmica, che sta rapidamente diventando uno dei principali fattori della nostra era digitale. La veridicità e trasparenza delle notizie e delle informazioni è troppo importante per essere lasciata a delle entità commerciali non giornalistiche. Ma le scuole di giornalismo sono solo l’inizio della pipeline, del lunghissimo condotto, non la fine”.
“Il giornalismo, oggi, si sta muovendo in modo più rapido rispetto alla stessa velocità del pensiero. Si sta diffondendo ben oltre le ‘newsroom’, ben al di là dei confini geografici e culturali che un tempo limitavano le audience, portato avanti da piattaforme progettate e costruite per una comunicazione globale e istantanea. E’ importante per le piattaforme digitali e le nuove forme organizzative includere le persone con i loro telefonini mobili che riempiono le nostre pagine, perchè abbiamo bisogno di loro. Possono non essere dei giornalisti ma fanno parte del nostro ecosistema di notizie”.
“Le aziende giornalistiche neo digitalizzate di maggior successo sono quelle che si sono perfettamente integrate nell’universo delle nuove piattaforme. Le imprese editoriali che riescono a raccogliere la più larga audience sul web sono quelle, come il Daily Mail o il Guardian, che sono state in grado di sperimentare un nuovo format, di modificarlo, di fare in modo che il loro giornalismo sia capace di adattarsi al nuovo abito”.
“Per dieci anni al Guardian ho avuto la grande fortuna di poter lavorare con un gruppo che con grande energia ha battuto la strada del cambiamento, sperimentando il modo attraverso cui poter trasferire il carattere e i valori del nostro giornalismo nel nuovo sviluppo via software, nei nuovi format, nell’informazione digitale. Abbiamo negoziato un percorso che Alan Rusbridger ha definito di giornalismo aperto. Veniva dal desiderio di costruire la nostra tecnologia e le nuove forme di giornalismo con gli stessi valori che un maestro come CP Scott ha portato avanti per tanti anni in passato. Ha portato il Guardian su un percorso lungo il quale ha potuto pubblicare le brillanti e importanti rivelazioni di WikiLeaks, con una incredibile ed esponenziale moltiplicazione dell’audience impensabile se immaginata in termini di carta stampata. Quando abbiamo cominciato a lavorare al Guardian on line nel 2000, avevamo un milione di visitatori al mese. Quando ho lasciato, dopo dieci anni, avevamo aumentato di 60 volte. Ora ha raggiunto il tetto dei 100 milioni”.
“Abbiamo affrontato il problema di come trasferire il giornalismo popolare su internet, ora dobbiamo affrontare quello di fare un giornalismo popolare importante e robusto anche nel mondo digitale. I due mondi, quello dell’editoria tradizionale e quello dei nuovi social media, devono intraprendere un dialogo aperto e collaborativo, e i nuovi padroni dei social hanno le risorse e l’audience per aiutare il primo. Abbiamo bisogno di pubblicare nuovi tipi di giornalismo, dobbiamo riconoscere che la stampa libera rappresenta di più degli stessi giornalisti professionisti e delle piattaforme tecnologiche. I tabloid digitali sembrano un ossimoro e forse è così. Un giornalismo popolare che raggiunge il mercato in modo affidabile e puntuale come è nei desideri dei lettori, è qualcosa di reale e importante come mai”.
“Penso che per un po’ il giornalismo abbia ritenuto di non poter affrontare una serie di difficoltà da non poco, le investigazioni, le nuove tecnologie, i temi legali, e altri problemi complessi. Potevamo solo assicurare la nostra sopravvivenza adottando una serie di soluzioni quasi automatiche e con una scrittura standardizzata, quasi robotizzata. Ora, quando guardiamo ai potenti nuovi networks della nostra era, spero ci renderemo conto, Noi e Loro, che questi sono i problemi che non potremo evitare di affrontare. E li dovremo affrontare insieme”.
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