Pronti, via, rieccoci a parlare della riforma dell’editoria. Dopo l’approvazione del testo di legge in prima lettura alla Camera, ora la palla passa al Senato. I principi dell’articolo 21 della Costituzione verranno rispettati dal Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione? Editori, distributori e edicolanti hanno bisogno di un cambiamento per andare avanti, e ne hanno bisogno presto
La relazione del senatore Roberto Cociancich del 13 aprile segna la ripresa dei lavori, presso la Commissione Affari costituzionali, sul futuro della filiera dell’editoria italiana. Nel testo del provvedimento si legge che il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione si è reso necessario per assicurare la piena attuazione dei principi dell’articolo 21 della Costituzione.
Tutela di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell’informazione, ma anche incentivi per l’innovazione dell’offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita: sono questi i cardini del testo di legge. Un ddl che dovrebbe aiutare le imprese del settore a investire per “acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo”. Ma la nuova legge vorrebbe anche stimolare “lo sviluppo di nuove imprese editrici anche nel campo dell’informazione digitale”.
Il disegno di legge si divide in sette articoli che si occupano di nove questioni principali:
- istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione;
- ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico all’editoria, con correlativa delega al governo;
- disciplina dei profili pensionistici per i giornalisti, con correlativa delega al governo;
- disciplina del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, con correlativa delega al governo;
- riordino dei contributi alle imprese editrici;
- equo compenso;
- esercizio abusivo della professione di giornalista;
- vendita dei giornali;
- coordinamento.
Per ottenere i necessari miglioramenti, hanno detto da sempre gli editori servono certezze, coerenza e trasparenza. E su questo anche il governo sembra essere d’accordo. Ma a modo suo. Nel testo al vaglio del Senato, infatti, si legge che “il governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi”. Questi decreti andrebbero a coprire diverse aree, come ad esempio “la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici” e “la previsione di misure per il sostegno agli investimenti delle imprese editrici”.
Anche l’innovazione del sistema distributivo e il finanziamento di progetti innovativi nel campo dell’editoria presentati da imprese di nuova costituzione, così come la previsione di misure a sostegno di processi di ristrutturazione e di riorganizzazione delle imprese editrici già costituite, sarebbero soggetti alla delega al governo.
Insomma, la premessa è ottima ma l’attuazione (almeno per ora) lascia qualche perplessità. Ne è convinto anche il giornalista Marcello Vita, che dalle colonne del Manifesto scrive: “è un testo con vari difetti, e soprattutto assai limitato nei confini troppo angusti dell’articolato. A trentacinque anni dalla legge 416, che disegnò la fisionomia dell’allora intraprendente stagione analogica, è urgente sollevare la testa e guardare avanti”.
Editori, distributori e edicolanti ora hanno paura di farlo, il futuro che si pone davanti è quantomai incerto. Il panorama, però è in continuo cambiamento, basti vedere le iniziative intraprese dai giganti della rete e le concentrazioni editoriali che sembrano sempre più vicine a concretizzarsi. E in questo contesto sia i politici che gli imprenditori sembrano avere difficoltà a capire in che direzione andare.