Il pluralismo dell’informazione è una questione che travalica il mezzo, sia esso stampa, tv, radio o internet. Il pluralismo riguarda direttamente il concetto stesso di democrazia e probabilmente oggi più che mai, almeno in Italia, bisogna far presente quest’aspetto troppo spesso dimenticato: l’informazione è un servizio ad uso e consumo dei cittadini e come tale può davvero essere sottoposto alle leggi di mercato? “Una democrazia senza informazione non esiste: l’utopia della democrazia è quella che le persone, siccome sanno le cose (quindi sono informate e sanno cosa è stato deciso, chi propone e cosa) sono consapevoli e quindi possono scegliere. Se non c’è questo primo passaggio la democrazia non esiste”. A dirlo è il deputato Pd Roberto Rampi che dal 7 maggio 2013 è entrato a far parte della commissione permanente n. VII, cultura, scienza e istruzione. “Nel suo discorso di insediamento lo stesso Presidente Mattarella, oltre a parlare dell’informazione e del pluralismo, ha ricordato anche come la democrazia non sia una conquista una volta per tutte. Nella difesa della democrazia noi dobbiamo pensare oggi a come far funzionare il sistema del pluralismo”.
Così come l’ex presidente della Repubblica Napolitano vedeva nella questione del pluralismo dell’informazione una questione centrale per la democrazia, anche il nuovo presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento ha ribadito la centralità di questo argomento…
Io credo che da martedì possiamo dire che il lavoro che stiamo provando a fare insieme a chi è lì a decidere, chi fa il legislatore, chi deve seguire queste cose e chi invece lavora in questo mondo sia rappresentato da questa scommessa: come si fa a garantire il pluralismo dell’informazione nel 2015? Questa è la grande questione, uscire da una serie di luoghi comuni che si sono accumulati nel tempo e quindi fare una informazione approfondita. Il paradosso è proprio questo: per parlare di informazione bisogna fare informazione sui fatti e su tante cose vere che riguardano il passato del finanziamento all’editoria. Sono cose che non sono più vere da diverso tempo per cui quelle storie che ci vengono raccontate di foraggiamento a giornali inesistenti, di copie prodotte solo per essere buttate, di finanziamenti avuti per contatti o per amicizie, queste cose non ci sono più grazie al sistema di regole e controlli molto ferreo ed ai contributi dati a posteriori. Oggi quel contributo va alle realtà esistenti e che tra l’altro devono dimostrare di avere una loro forza di esistere. Se vogliamo fare un lavoro fatto bene dobbiamo completare la riforma complessiva che pensi anche a nuove ‘fonti’ per finanziare questo mondo, a mettere insieme tutto il sistema e quindi a ragionare su tv, radio e su carta stampata e a garantire la pluralità delle voci, sia dal punto di vista delle opinioni e sia dal punto di vista delle diversità del territorio. Ci sono territori italiani in cui esistono tante testate perché è facile raccogliere pubblicità o perché è facile distribuire così come ci sono territori che sono molto più poveri da questi punti di vista. Tutto questo si incornicia perfettamente in quell’espressione del nuovo Presidente della Repubblica, che peraltro ha fatto un discorso che ripercorre la nostra Carta Costituzionale tentando di dire come si possano concretizzare quelle enunciazioni.
Da un punto di vista politico, quindi, l’attenzione alle voci libere ed a favore del pluralismo c’è, ma come si manifesta? Milleproroghe, contributo straordinario e ordinario, qual’è la situazione?
Noi vogliamo favorire il pluralismo. Bisogna partire da un punto fondamentale: l’informazione è un prodotto, una confezione di pubblicità, o è un servizio fondamentale per la democrazia? Nel primo caso sarei d’accordo a lasciar decidere al mercato, ma nel secondo caso (per cui propendo) lo Stato deve capire come garantire questo servizio a tutti i cittadini. Oggi noi abbiamo due problemi: uno più imminente su cui tentiamo di intervenire con un emendamento di cui sono il primo firmatario ma che ha avuto un’adesione trasversale dalle varie forze politiche. Troppo spesso si pensa che questi soldi vadano alle grandi testate o ai giornali politici e non è così. Quelle risorse su cui molti giornali, soprattutto locali, piccoli e del territorio facevano conto c’erano quando hanno presentate ed accettate le domande. Ora si tratta di capire come ripristinare quelle risorse che in un patto tra lo Stato e queste realtà erano previste: chi ha lavorato ha già speso questi soldi per pagare le persone, i redattori. Stiamo cercando di sviluppare un emendamento ma comunque vada a finire la prima cosa da dire è che c’è tutta l’intenzione, anche da parte del Governo, di garantire queste risorse. Nel frattempo c’è da ripensare il sistema complessivo, anzi c’è secondo me da costruire un nuovo sistema che abbia anche fonti d’entrata nuove e che possa funzionare meglio.
Il fondo pubblico all’editoria del 2015 dovrebbe prevedere circa 20 milioni, che non basta certo a colmare il fabbisogno degli aventi diritto, ci sono margini per estendere tale cifra?
Sia per il 2014 che per il 2015 (che è sempre bene ricordare significa quanto già speso nel 2014 dato che il contributo viene erogato ex post) dovranno essere ripristinate le quantità precedenti, quindi stiamo parlando di una cifra che dai 20 milioni circa attuali vorremmo riportare sui 40-45. Questo è l’impegno di lavoro in grande sintonia con il Governo. Di certo non sarà facile, ma la direzione è questa. Noi stiamo già ragionando quest’anno sulla realizzazione di una riforma complessiva che guardi al futuro insieme con il sindacato e con associazioni e federazioni del settore. E’ vero però che per guardare al futuro bisogna garantire ad un certo numero di realtà di arrivarci in buona salute, che siano ancora presenti sul territorio e quindi non si possono lasciare al loro destino.
L’interesse mostrato dalla politica è apparso trasversale, come ha già ricordato. Nessuno strascico delle polemiche di fine 2014 con il Movimento 5 stelle? La situazione è cambiata in questo inizio 2015?
Una parte del discorso di questi giorni parte proprio dalla proposta di legge del Movimento 5 stelle di abrogare il fondo per l’editoria. Mi sembra che stiamo facendo un buon lavoro di ascolto della concretezza della realtà attraverso l’importante percorso di audizioni che abbiamo fatto e che ci apprestiamo a concludere. A mio parere anche chi ha presentato quella proposta di legge sta maturando l’idea che per quanto sia giusto lottare contro gli sprechi bisogni stare attenti che gli sprechi ci siano davvero e quindi forse si sta anche correggendo un po’ questo tiro. Lo vedremo quando arriveremo alla conclusione di questo capitolo. Da quello che ho sentito finora in commissione, da Marco Travaglio piuttosto che da altri, delle parole molto dure su come è stato gestito in passato il finanziamento, ma le condivido anch’io. Però la lotta contro chi usa male le risorse pubbliche non deve colpire anche chi si è sempre comportato bene. La cosa difficile è ricostruire l’idea, soprattutto nei cittadini, che le cose si possano fare per bene perché altrimenti passa l’idea che forse sia meglio non fare nulla. Questo sarebbe estremamente sbagliato.
Quando potrebbe essere realizzata la riforma che regoli il contributo pubblico per l’editoria e l’informazione?
Già febbraio potrebbe essere un mese decisivo perché noi da questa settimana (dopo l’interruzione per la nomina del Presidente della Repubblica) riprendiamo le ultime audizioni in commissione. Nel frattempo stiamo organizzando degli incontri con sindacato, associazioni e federazioni della stampa italiana e stiamo lavorando anche ad alcune bozze di testi per mettere insieme le varie ipotesi che ci sono in parlamento.
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