“Bisogna salvaguardare il pluralismo e il diritto dell’informazione, anche attraverso gli aiuti di stato all’editoria. Ma servono regole certe“. Così il prof. avv Astolfo Di Amato nel corso di un’audizione in Commissione Cultura alla Camera nell’ambito della discussione sulla proposta di legge per l’abolizione del finanziamento pubblico dell’editoria, presentata dal Movimento 5 Stelle. Il punto di partenza, secondo il Prof. Di Amato non può che essere il diritto all’informazione:”Si tratta di un concetto connaturato a quello di partecipazione democratica: intanto si può partecipare in quanto si conosca e si sia consapevoli. E’ un concetto che è enunciato nell’art. 10 della CEDU e che la nostra Corte costituzionale ricava dall’art. 21 cost. (n. 420/94). In questo quadro, la circostanza che le fonti del diritto si preoccupino di declinare un obbligo di tutela del pluralismo ha un preciso significato sul piano delle regole del mercato. Significa, in particolare, che in questo campo devono essere introdotti dei correttivi. “La prima questione va risolta tenendo conto della convergenza. Sinora il pluralismo, sebbene inteso come strumento di attuazione del diritto ad essere informati, è stato poi interpretato come criterio di tutela di chi dà l’informazione e la tutela di chi la riceve è scomparsa. Scompaiono, di conseguenza, i contenuti di quel diritto, che sono quelli della “imparzialità, completezza, obiettività, e continuità dell’informazione“.
Rispettare il senso del pluralismo, significa, secondo il Prof. Di Amato, agevolare le imprese che forniscono un’informazione rispettosa del diritto alla conoscenza dell’utente. Non può, perciò, essere concepito un sostegno per chi omette o distorce i fatti. Potrà operare, ma non beneficiare di forme di sostegno. “Il criterio non può che essere quello della correttezza dell’informazione, che potrà essere registrata da appositi osservatori. Né si dica che potrebbe essere una censura perché questo non significa impedire la libertà di comunicare qualsiasi cosa, ma solo fissare dei criteri di finanziamento, del resto gli ordini dei giornalisti sono abituati in sede disciplinare a giudicare la correttezza dell’informazione data dai loro colleghi; non si vede perché un tale giudizio non possa essere dato ai fini dell’ammissione alle agevolazioni“.
Riguardo i contributi all’editoria il pensiero è esplicito a riguardo:”Un peso decisivo nell’ attribuzione delle agevolazioni deve essere quello della garanzia di indipendenza. Perciò va privilegiato l’editore puro. Questo significa mettere sul piatto della bilancia non solo l’appartenenza a gruppi industriali, ma anche la dipendenza dal gettito pubblicitario che può venire da certe imprese. Occorre, senza scadere nel massimalismo, introdurre dei limiti alle risorse provenienti da un singolo soggetto economico, per poter beneficiare delle agevolazioni. O quantomeno introdurre una rapporto proporzionale inverso. Quanto alle cooperative esse sono certamente uno strumento idoneo a garantire l’indipendenza, ma devono presentare alcune caratteristiche: la platea sociale deve essere formata esclusivamente da soggetti che lavorano nell’impresa di informazione; la cooperativa deve essere proprietaria della testata e la gestione deve avvenire solamente all’interno della stessa“. Fondamentale è il passaggio anche sulla rete di diffusione in quanto secondo il Prof. Di Amato,”proprio perché il tema del pluralismo va visto dalla parte dell’utente, se non vi sono utenti in numero adeguato, il sostegno non è giustificato. Tuttavia anche qui dovranno esserci dei correttivi, a seconda che si tratti di giornali locali o nazionali“.
La chiusura è stata sulla natura dei finanziamenti all’editoria:”Per quanto concerne i contributi, mi limito a considerare quelli diretti. In primo luogo il finanziamento pubblico, cui l’Italia è obbligata in virtù della delibera del Consiglio Europeo già citata e che, comunque, è presente, in varie forme, in tutto il mondo occidentale. In secondo luogo attraverso un apposito fondo creato con proventi dei privati. Al riguardo si deve tener presente che il riferirsi alla pubblicità può significare il riferirsi ad una realtà in via di superamento. L’esperienza americana dice che i grandi gruppi si stanno progressivamente allontanando dalle forme tradizionali di promozione, per adottarne altre, facilitate dai social network o dalla strumentalizzazione dei motori di ricerca su internet. Bisogna, perciò, individuare in modo più evoluto la categoria dei costi di espansione delle imprese sul mercato, su cui deve gravare il contributo per il sostegno del pluralismo“.