Gli editori nativi digitali sono ormai una realtà nel panorama dell’informazione. La sfida è la ricerca di nuovi modelli di business che rendano meno necessario il ricorso alla pubblicità come fonte di finanziamento
La relazione di fine aprile in cui l’Agcom ha analizzato il rapporto tra la professione giornalistica e le nuove tecnologie fornisce spunti sulle dinamiche attuali del settore. L’avvento di Internet ha aperto nuove frontiere per l’informazione. Gli editori tradizionali hanno arricchito la loro offerta di nuovi contenuti fruibili esclusivamente via web. D’altra parte ci sono editori, i cosiddetti nativi digitali, la cui offerta è del tutto correlata ad Internet. Essi forniscono servizi informativi con contenuti propri afferenti ad editorialisti e blogger. Si finanziano prevalentemente con la pubblicità.
La crescente importanza degli editori digitali è testimoniata dalla nascita dell’Anso, associazione di categoria che al momento conta 80 associati. Ricerche condotte da Audiweb hanno certificato che le offerte informative esclusivamente online, pur non potendo competere con marchi storici legati alla carta stampata, stanno facendo breccia tra gli utenti. La velocità degli aggiornamenti, resa possibile da Internet, è fattore imprescindibile per la buona riuscita di una testata digitale. Lo è anche il collegamento con i social network, spesso fondamentali per garantire all’editore un cospicuo numero di visite. Per quanto riguarda i ricavi, come detto, essi derivano principalmente dalla pubblicità. Le offerte informative sono caratterizzate dalla gratuità, ad eccezioni di alcuni contenuti specializzati rivolti a determinate categorie di utenti. Nonostante tutto la necessità di tenere alti i ricavi sta portando gli editori a riconsiderare la proposizione di offerte soft paywall, cioè per metà gratuita e per l’altra metà a pagamento. Per ora è un modello che funziona solo per le piattaforme web degli editori tradizionali, agevolati dalla reputazione dei loro marchi. Il bisogno di pubblicità incide, a volte, sulla qualità dell’informazione, che può essere sacrificata sull’altare degli introiti. Preoccupa il frequente ricorso al native advertising, l’implementazione di messaggi pubblicitari all’interno delle notizie. Si tratta di una tecnica specificamente studiata per i dispositivi mobili, che può creare distorsioni informative a favore degli inserzionisti.
Gli editori online puri vanno distinti dagli aggregatori, che si limitano ad assemblare e redistribuire contenuti informativi provenienti da fonti diverse. In comune hanno la pressoché totale dipendenza dalle inserzioni pubblicitarie. Si distinguono gli aggregatori che propongono specifiche sezioni dedicate all’informazione e quelli che raccolgono semplicemente le notizie in rete e le classificano in base a fattori come data e rilevanza. Tutt’altra funzione hanno i social media, che contribuiscono anche a creare informazione. Twitter ha un alto contenuto informativo, essendo uno dei mezzi più utilizzati per la diffusione di notizie in tempo reale.