Sembra impossibile eppure l’affidabilità della fonte rende questa notizia ancora più attendibile. Secondo una recente inchiesta condotta dall’ US Bureau of Labor Statistics attualmente in America si contano più redattori nei giornali attivi sul web piuttosto che nelle tradizionali redazioni off line. Si tratta di una piccola rivoluzione, un sorpasso destinato a lasciare il segno e, chissà, forse anche ad anticipare quello che accadrà nel Vecchio Continente dove si sa, le novità che giungono dall’America arrivano con un vento leggero che impiega anche anni, ma arrivano puntualmente portando cambiamenti spesso epocali. Tutto questo perché dal 1990 l’editoria a stelle e strisce si è orientata sempre più verso la diffusione dei contenuti on line, fidelizzando un numero altissimo di lettori digitali.
Molte testate, soprattutto nell’ultimo decennio, hanno saputo diversificare ed ampliare l’offerta in rete sia mediante un’informazione di alta qualità e sia offrendo servizi innovativi capaci di moltiplicare i consensi grazie alla condivisione sui social e alla diffusione di app dedicate con le quali le news sono accessibili, in modo semplice e veloce, anche in modalità mobile. A tal proposito fanno riflettere alcuni esempi di successo come quello del New York Times, la testata che vanta 60 milioni di visitatori al giorno e 1.000.000 di abbonati on line e che entro il 2020 si prefigge l’ obiettivo di raggiungere gli 800 milioni di dollari di entrate grazie alla rete. Nonostante questi numeri altisonanti solo pochi anni fa la testata neyworkese, in piena crisi, è stata sull’orlo del baratro e salvata proprio dall’edizione digitale soprattutto grazie al metered paywall, un sistema che prevede la possibilità di leggere fino a 20 articoli gratis (dal ventunesimo in poi la piattaforma provvede a chiedere l’abbonamento). Non altrettanto eclatanti ma di tutto rispetto anche le vendite on line del Wall Street Journal (900.000 copie) e del Financial Time (520.000 copie) che confermano l’attuale stato di buona salute ed il trend positivo dell’editoria digitale negli States.
Tornando all’indagine diramata direttamente dal Dipartimento del lavoro americano si nota che già nell’ottobre del 2015 i redattori digitali avevano uguagliato il numero di quelli presenti nelle redazioni fisiche. A distanza di circa 6 mesi (il rilevamento è stato effettuato a marzo di quest’anno) si registra il superamento con le rispettive 197.800 unità contro le 183.200. Un dato sorprendente che appare ancora più significativo se confrontato con le cifre riportate nel 1990, anno in cui i redattori cartacei erano ben 457.800, quasi il quadruplo di quelli attuali. Per avere un’idea di come sia cambiato il modo di veicolare l’informazione e del rapporto inversamente proporzionale legato alle conseguenze in termini occupazionali di questa differenziazione, basti pensare che nello stesso anno i giornalisti on line erano solo 30.000 ma diventavano già 112.000 nel 2000. Da un lato, quindi, si assiste ad un taglio netto e una perdita altissima di posti di lavoro e, dall’altro, ad una crescita senza precedenti che come ha commentato Joshua Benton direttore di Niemanlab, sono due fenomeni non destinati ad arrestarsi, soprattutto nel breve e medio termine.
E più precisamente, desta grande preoccupazione la caduta libera dell’editoria tradizionale che, se vuole sopravvivere, deve necessariamente investire professionalità e risorse al fine di ricercare nuovi modelli di business sostenibili, accessibili rapidamente e soprattutto vincenti, magari stringendo alleanze ed accordi con le maggiori web company come Google, Apple, Facebook (non a caso made in USA!) capaci di calamitare l’attenzione degli utenti interagendo in maniera vivace ed attiva generando, così, un elevato traffico di contatti e condivisioni. Ma solo agli editori spetterà la scelta decisiva di stare o no al passo con i tempi e di personalizzare l’informazione selezionando le fonti e veicolando contenuti di qualità, capaci di fare la differenza.
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