L’informazione del futuro sarà online. Questo è sicuro. Tuttavia non ci sono ancora precisi modelli normativi in materia. E tutta da risolvere resta anche la disputa tra editori e aggregatori di notizie:chi deve ringraziare chi?
“Siamo disposti al dialogo con tutti. Ma non siamo parassiti. Anzi, portiamo visibilità e ricchezza”, ha dichiarato Carlo D’Asaro Biondo, manager di Google, in un’intervista al Sole 24 Ore, aggiungendo di essere d’accordo: “Sul diritto d’autore. Va protetto”. “I contenuti hanno un grande valore, sia economico che sociale. E i motori di ricerca possono essere degli alleati per combattere la pirateria” ha concluso.
Va precisato comunque che i rapporti tra editori e aggregatori di notizie (in primis Google News) non seguono un ordine preciso. E cambiano da Stato in Stato. In Francia il governo Hollande, dallo scorso mese di febbraio, ha imposto a Google una sorta di tassa per usare liberamente i contenuti prodotti dagli editori. Il colosso di Mountain View dovrà sborsare 60 milioni di euro all’anno ai media transalpini se vorrà pubblicare news e inchieste prodotte da loro. E tale somma servirà per finanziare l’editoria digitale. Una decisione simile potrebbe essere adottata anche dalla Spagna e dal Portogallo.
In Belgio e in Germania si lascerà più spazio alle contrattazioni individuali. Ciò significa che ci potrà essere chi deciderà di restare negli aggregatori, magari guadagnando in pubblicità e visibilità, e chi, all’opposto, lascerà le piattaforme digitali. Ad esempio il Der Spiegel (come altri giornali, anche importanti) ha deciso di non chiedere l’uscita da Google. La motivazione sembra evidente. A molte testate conviene apparire sugli aggregatori perché ne guadagnano in visibilità. E quindi in pubblicità. E questa spiegazione non può che avvalorare la argomentazione di D’Asaro Biondo. Ovvero: “Google porta il 40-50% di traffico in più in cambio dell’indicizzazione. Noi siamo un partner per gli editori. Non dei rivali”. In effetti il manager di Google non vede di buon occhio gli esborsi per i contenuti “tout court” agli editori, così come accade in Francia. “Bisogna stabilire delle forme di collaborazione che aiutino gli stessi editori a crescere tramite il motore di ricerca” spiega.
Ad ogni modo trovare una “quadra” non sarà semplice. Pur creando delle leggi apposite (visto che non esiste una legislazione precisa a riguardo). Ad esempio anche la cosiddetta “lex Google” che entrerà in vigore in Germania dal primo agosto potrebbe creare problemi. Tale provvedimento dà, infatti, la possibilità agli editori di rivendicare un compenso sui contenuti indicizzati. E anche sugli estratti di articoli pubblicati online dai motori di ricerca o da aggregatori che agiscono in maniera analoga. Ma ci sono delle particolarità che potrebbero creare non poche dispute. Ovvero andrebbe dimostrato se si utilizza un determinato contenuto a fini commerciali. Poi c’è da precisare quali siano gli aggregatori di notizie che agiscono in maniera analoga ai motori di ricerca. In alcuni casi è facile stabilirlo. Ma in altri meno. Ad esempio sui blog privati:questi potranno condividere un articolo? Lo stesso discorso vale per i social network:si potrà far girare un contenuto su Facebook o Twitter? Poi c’è la questione della lunghezza degli stralci. I quali avrebbero via libera ovunque se molto brevi. Ma chi ne stabilirà la lunghezza?
Google, da parte sua, sembra avere un modo per eliminare a priori tutti questi problemi. Ovvero contrattare con i singoli editori e stabilire se vogliono essere indicizzati (magari in cambio di un compenso da stabilire volta per volte); oppure no.
La singola contrattazione è anche l’ipotesi auspicata da Antonio Catricalà, viceministro dello Sviluppo Economico: “Io spero in una accordo tra i grandi leader del web e gli editori. L’autoregolamentazione sarebbe la soluzione migliore. Ma in caso contrario deve intervenire l’Agcom”.