La Commissione Cultura della Camera, il 5 novembre, avvierà l’esame della proposta di legge (C 2393) recante “Modifiche alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, in materia di ordinamento della professione di giornalista”.
La proposta di legge è stata presentata in modo bipartisan da esponenti della maggioranza (Mazzuca, Pisicchio, Testoni), del Pd (Zampa, Merlo), da Giuseppe Giulietti (Idv), Roberto Rao (Udc) e Matteo Salvini (Lega Nord) e parte dal presupposto che, mentre la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti (n. 69 ,del 3 febbraio 1963) è ancora valida nelle sue impostazioni di principio, i dettami strutturali e organizzativi richiedono una profonda riforma. Infatti, nel tempo trascorso, molte trasformazioni sono avvenute nel campo dell’informazione e dei media (basti pensare a internet), ma anche nella società e segnatamente nella qualificazione delle attività formative e professionali.
L’esperienza di questi quarantasei anni ha fatto emergere i limiti dell’ordinamento attuale – ovviabili in gran parte con una riforma che renda più agile ed effettiva l’azione dell’Ordine dei giornalisti – ma ha anche confermato l’importanza di esso come strumento in grado di dare ancoraggio e certezze normative all’indipendenza del giornalista. La Corte costituzionale a più riprese ha confermato la legittimità dell’Ordine dei giornalisti, riconoscendo che la legge n. 69/63 disciplina esclusivamente il giornalismo come professione, e quindi non limita in nulla l’accesso ai mezzi di informazione come libera espressione del pensiero. Occorre, infatti, distinguere tra l’informazione e altre libere manifestazioni, come le opinioni e, più in generale, ogni tipo di espressione. L’informazione, in regime democratico, non soltanto è un diritto, ma è anche un dovere. Del diritto sono titolari sia i giornalisti (libertà di stampa) sia i cittadini tutti (diritto di essere informati); il dovere, invece, è in capo ai soli giornalisti.
La riforma vuole intervenire su alcuni punti specifici che sono:
1) il sistema di accesso alla professione;
2) il meccanismo elettorale che oggi porta a una dimensione pletorica del Consiglio nazionale;
3) procedure e organi che intervengono in materia deontologica, per garantire tempestività, equità e trasparenza nei procedimenti disciplinari.
L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE
Per quanto riguarda il primo punto, da tempo è maturata la consapevolezza che la professione di giornalista, analogamente a molte altre, richiede una base formativa superiore a quella prevista dalla legge n. 69 del 1963, cioè l’allora diploma di scuola media superiore e oggi diploma di scuola secondaria di secondo grado. Il ddl prevede un canale di accesso unico attraverso:
a) una fase di formazione preliminare coincidente con la laurea;
b) una seconda fase di specializzazione, di due anni, da realizzare in forme diverse, e cioè: 1) laurea magistrale in giornalismo che consenta di sostenere l’esame professionale; 2) master specifico riconosciuto dall’Ordine dei giornalisti; 3) scuole di giornalismo collegate a una struttura universitaria.
PUBBLICISTI
Oggi la via per accedere all’elenco dei pubblicisti è il riconoscimento di un’attività continuativa nell’arco di almeno due anni. Nella presente proposta di legge per i giornalisti pubblicisti vengono mantenuti i medesimi requisiti di accesso con l’aggiunta, però, di corsi specifici di cultura generale e delle norme che regolano il giornalismo e che terminano con una prova conclusiva sulle materie studiate.
COMMISSIONE DEONTOLOGICA
A rendere urgente una modifica delle procedure in materia disciplinare è l’esperienza passata e recente: il Consiglio nazionale funge da tribunale deontologico di appello rispetto alle deliberazioni dei singoli consigli regionali. Un collegio formato da più di 130 giudici non raggiunge quasi mai il plenum, rischia continuamente la dispersione e le lungaggini e, procedendo a scrutinio segreto, richiede tempi enormi anche per decisioni apparentemente semplici: è infatti frequente che il lavoro si paralizzi perché viene meno il numero legale. L’articolo 5 del ddl istituisce, pertanto, una Commissione deontologica nazionale, composta da nove membri espressione del Consiglio nazionale, competente in materia disciplinare.
GIURÌ PER LA CORRETTEZZA DELL’INFORMAZIONE
L’articolo 6 del ddl recepisce la proposta dell’istituzione di un giurì per la correttezza dell’informazione.
Vincenza Petta
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