E’ morto oggi in una casa di cura di Figline Valdarno (Firenze) l’editore Giorgio Mondadori. E’ stato presidente della casa editrice Mondadori dal 1968 al 1976, quando le sorelle Cristina e Laura lo misero in minoranza. Successivamente fondò la casa editrice che porta il suo nome. E’ stato il primo presidente della joint venture tra il gruppo editoriale L’Espresso e la Mondadori, che ha dato il via nel 1976 alla pubblicazione di Repubblica. I funerali dell’editore si svolgeranno martedì prossimo alle 10.30 presso la cappella del Cimitero Monumentale di Milano.
Giorgio Mondadori, che era nato a Ostiglia (Mantova) nel 1917, lascia la moglie Nara e i figli Claudia, Nicolò e Paolo. Il gruppo editoriale da lui costituito, e che porta il suo nome, ha al suo attivo le riviste Airone, Bell’Italia, Bell’Europa, In Viaggio, Gardenia, Arte e Antiquariato. Il gruppo Giorgio Mondadori è stato acquistato nel febbraio 1999 dalla Cairo Editore Spa, che continua a pubblicarne riviste e libri.
L’editore ha avuto un ruolo importante nella fondazione di Repubblica. Fu infatti nella sua villa di Sommacampagna (Verona) che, con il cognato Mario Formenton, incontrò Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo: la riunione, che si è tenuta nel ’75, è stata decisiva per la nascita del quotidiano. Giorgio Mondadori era infatti allora ancora presidente della Mondadori, che costituì con il gruppo editoriale L’Espresso una joint venture che, l’anno dopo, portò alla nascita di Repubblica. Mondadori fu il primo presidente della società.
Ma rimase presidente per poco, perché nel 1976, proprio l’anno dell’esordio di Repubblica, l’editore venne estromesso da Segrate. “Sono entrato in Mondadori a 21 anni, nel 1938 – confessò molti anni dopo a un giornalista – e ne sono uscito, non volendo, nel 1976”. Non prima di aver dato incarico all’architetto Oscar Niemeyer, il costruttore di Brasilia, di progettare la nuova sede di Segrate.
Le sorelle lo misero in minoranza, unendo le loro quote: una decisione che, in un’intervista al Venerdì, definì, quasi 20 anni dopo, “una ferita che rimane aperta. Nonostante fosse stato mio padre, Arnoldo a designarmi, nel 1967, suo successore alla presidenza dell’azienda, non sarei stato più io a comandare. Da allora non ho più rimesso piede a Segrate”. Decise infatti di vendere le azioni, e di ricominciare daccapo, con i giornali. Una strada che lo portò anche a una nuova alleanza con Carlo Caracciolo, per una società editrice che pubblicava i tre quotidiani veneti attualmente proprietà della Finegil (Gruppo L’Espresso).
Nel 1980 la nuova casa editrice, tutta sua: “In genere, a sessant’anni, la gente va in pensione – raccontò in un’intervista a La Stampa – Io, a quell’età, ho fondato questa casa editrice”. Non senza rimpianti: “Non ci fosse stato quel ‘colpo di Stato’ per cui io uscii dalla Arnoldo Mondadori, oggi le cose sarebbero diverse”.
I rapporti con la famiglia tuttavia ripresero, faticosamente, soprattutto con Cristina. mentre al nipote Leonardo, figlio di sua sorella Laura, contestò in tribunale l’uso del cognome Mondadori: “Leonardo si chiama Forneron, suo padre è vivo e legittimo, la legge italiana prevede questo. Perché deve farsi chiamare Mondadori?”. Ma il tribunale gli diede torto.
Nel 1999, a 82 anni, Giorgio Mondadori è uscito di scena definitivamente, come editore, vendendo la casa editrice a Urbando Cairo per circa 30 miliardi di lire. L’azienda, dopo un decennio eccezionalmente positivo, durato fino al ’94, era entrata in crisi, e il ’98 si era chiuso in perdita. Vito Leovino, l’amministratore delegato della casa editrice che aveva seguito direttamente le trattative, dichiarò all’Ansa che Giorgio Mondadori “era stato preparato dai manager e dalla famiglia: è per noi un faro, il peso dell’età lo ha allontanato dalla partecipazione attiva all’azienda”. E del resto, sempre secondo Leovino, Mondadori non aveva “eredi diretti coinvolti nell’editoria”. (Repubblica)