La questione è venuta fuori in occasione del mese del Ramadan, il nono mese dell’anno, durante il quale i religiosi di fede islamica osservano il tradizionale digiuno totale nelle ore diurne.
Ora in aggiunta alla privazione di cibo e bevande, si è pensato bene di evitare altri tipi di distrazioni ai fedeli, quali possono essere quelle che derivano dall’utilizzo dei social network.
“Questi andrebbero ad interferire con il carattere spirituale del ritiro e della preghiera”, ribadisce Ujayl al-Neshmi presidente della Lega degli studiosi di Sharia del Consiglio di cooperazione del Golfo.
In particolar modo, Neshmi punta il dito contro le conversazioni su chat tra uomini e donne, vista come una forma di istigazione all’immoralità.
Ma non tutti la pensano così e tra le voci fuori dal coro spicca quella di Hussein Rashid, professore all’Università di Hosfra e convinto sostenitore dell’utilizzo di social quali Facebook e Twitter che ritiene essere “efficaci strumenti di diffusione della preghiera stessa”.
Basti pensare che il professore ha postato su Twitter quasi il 40% dei versetti del Corano.
Insomma, c’è chi da un lato, preso atto del contingente avanzamento tecnologico, pensa non ci sia nulla di sbagliato nel servirsi delle piattaforme di condivisione come mezzo di pratica del credo religioso e chi invece, dall’altra parte, resta ancorato al carattere tradizionale della preghiera e degli usi e costumi ad essa legati, vedendo nei social una minaccia occidentale che devia dalla retta via.
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