Avrei preferito non tornare più sull’argomento e attendere lo sviluppo del dibattito sugli Ordini professionali. Richiesto da più parti di una prima opinione sul Dpr di riordino delle professioni, comunicato come atto di liberalizzazione, dico che siamo lontani da soluzioni riformiste. Nessuna illusione. Il Dpr sulle professioni, approvato venerdì scorso dal Governo, è lontano dall’essere una riforma che migliora le cose per i cittadini e per molti professionisti. Per i giornalisti – a mio avviso – non è una riforma. E’ una sostanziale aggiustatina che salva gli Ordini dalla cancellazione, introducendo qualche novità interessante e norme e procedure che non possono avere efficacia identica per ciascuna professione.
Le nuove norme rischiano di introdurre, appesantimenti amministrativi, anziché sentimento di apparati e organismi, in alcuni casi appaiono in contrasto con altre leggi sull’accesso al lavoro e sull’istruzione professionale e, pur non prevedendo nuovi oneri a carico delle Stato, rischiano di generare nuovi tributi (quote d’iscrizione o di servizio più alte per gli iscritti).
Ecco allora che, salvati gli Ordini professionali dall’estinzione, occorre utilizzare il tempo previsto prima della piena efficacia delle norme quadro del Dpr, per mettere le cose a posto con riforme profonde laddove, come per i giornalisti sono giudicate necessarie da anni, a fronte di una legge istitutiva di quasi cinquant’anni, d’ineguagliabile attualità nei principi fondamentali (art.2), sui diritti e doveri di chi professionalmente deve lavorare per assicurare il diritto dei cittadini a una informazione libera e plurale.
Per quella giornalistica serve una riforma realistica e specifica. Non è rivendicazione corporativa. Si tratta di pensare a una buona legge per un’attività non meramente tecnica o giuridica, che non fa riferimento a “clienti”, ma ha come destinatari, appunto, i cittadini. E’ necessario che il ministro della Giustizia e il Parlamento vadano avanti verso una riforma dell’Ordinamento dei giornalisti, guardando anche alle urgenze già note. Uno stralcio di riforma è da tempo in attesa di trattazione in Senato dopo aver avuto il via libera dalla Camera. Ora che c’è un Dpr generale, non adattabile genericamente a tutti, lo si riprenda, lo si renda massimamente utile per l’indipendenza dei giornalisti e dell’informazione e si vari una riforma degna di questo nome. In caso contrario, Dpr o meno, nel frattempo resisteranno incrostazioni, rappresentanze distinte dalla realtà del lavoro, organismi ipertrofici, in controtendenza anche con le annunciate politiche di ammodernamento del sistema Paese.