Sembra confermata la notizia che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, chiederà la fiducia sul discorso che terrà domani in Aula. Ancora discorsi, ancora parole. Intanto il mondo dell’editoria agonizzante chiede da tempo una legge che regolarizzi il settore. Se il governo del fare continuerà in questa politica di tagli non ci sarà nessuna speranza per centinaia di quotidiani e periodici: dovranno chiudere. Dopo aver eliminato il diritto soggettivo e le agevolazioni postali per la spedizione dei prodotti editoriali, dopo aver promesso gli stati generali dell’editoria, ancora niente di concreto è stato fatto e il regolamento di semplificazione che doveva essere approvato in due mesi si è arenato.
A tal proposito ricordiamo che, il 4 agosto, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, l’On. Paolo Bonaiuti, ha consegnato un nuovo testo del regolamento, che recepisce alcune modifiche non condivisibili.
In particolare, al’art. 2, tra i requisiti per l’accesso ai contributi per le testate nazionali si prevede che queste ultime siano vendute nella misura di almeno il 25% delle copie distribuite e per le testate locali nella misura di almeno il 40% delle copie distribuite, senza possibilità di effettuare vendite promozionali o in blocco. Con un quoziente minimo del 25% da conseguire esclusivamente nei punti vendita tradizionali, continueranno ad essere presenti in quasi tutta Italia solo pochissimi piccoli quotidiani, forse nessuno. Infatti, per rifornire con due copie in media circa 25.000 punti vendita (su 36.000) occorre una tiratura di 50 mila copie, con un risultato minimo di vendita richiesto di 12.500 copie giornaliere. I quotidiani che non riterranno di raggiungere questi risultati saranno costretti a ridurre il numero dei punti vendita, provocando, in questo modo, una diminuzione anche delle copie vendute. In pratica, un quotidiano nazionale che attualmente vende giornalmente tra le 9 mila e le 10 mila copie dovrà restringere la propria diffusione a una decina delle città più importanti e a pochi altri centri selezionati (si può ipotizzare una copertura del 15-20% della popolazione). Ma ciò potranno permetterselo solo le grandi testate.
All’articolo 21, invece, nonostante il parere delle associazioni di categoria e delle competenti commissioni parlamentari rimane l’abolizione della lettera c del comma 2 dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250 che concede i contributi ai quotidiani che “abbiano acquisito, nell’anno di riferimento dei contributi, entrate pubblicitarie che non superino il 30% dei costi complessivi dell’impresa risultanti dal bilancio dell’anno medesimo”. In altri termini la spesa pubblica per questa voce aumenterà a causa di un provvedimento che dovrebbe ridurla.
F.C.
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