Nel corso degli ultimi anni c’è stata una forte riduzione» dei contributi all’editoria, «in particolare è stato soppresso pochi anni fa il contributo alle imprese editoriali per quanto riguarda la carta. Era un contributo che veniva dato in proporzione all’uso della materia prima carta, per l’appunto, che consisteva nell’erogazione di somme anche molto elevate». È quanto ha affermato Lucio Malan durante la discussione in corso al Senato sul ddl di conversione del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici.
«Trattandosi di imprese a tutti gli effetti (questo va ad onore di imprese che hanno una loro autonomia e una loro capacità industriale), è logico che vengano messe sul piano di qualunque altra impresa, con la particolarità di avere una tariffa IVA estremamente agevolata, come del resto avviene in altri Paesi per la cultura e per l’informazione. Pertanto è quello che resta oggi accanto a questi contributi come sostegno all’editoria periodica.
I contributi di cui stiamo parlando vengono pertanto riservati soltanto a determinate categorie di testate, che devono rientrare in una delle previsioni della legge preesistente a questo decreto».
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La scelta che è stata fatta dal Governo per quanto riguarda, poi, la rimodulazione dei costi, in presenza di una riduzione degli stessi, è stata quella di restringere le voci sulle quali è ammissibile il rimborso. In questo modo si ottiene un risultato di razionalizzazione, perché sono stati individuati i costi il più possibile attinenti e intrinseci all’attività di un periodico, quali l’assunzione di giornalisti e di poligrafici e le spese per la stampa e la distribuzione». «Ci sono emendamenti, che speriamo possano essere accolti, che allargano un po’ questo ambito. È importante capire la ragione di questa riduzione delle voci: anziché mantenere inalterate le voci per poi ridurle per via del tetto rigido che è stato posto ai fondi destinati a questo fine, si è scelto di ridurre le tipologie di spese rimborsabili, in modo da dare tendenzialmente per intero il contributo previsto, senza sforare il tetto. In questo modo, inoltre, si evitano gli abusi legati ad artifici contabili o societari, che facevano sì che qualcuno ricevesse più del dovuto, il che, nell’ottica odierna, andrebbe a scapito non solo delle casse dello Stato e dunque del denaro del contribuente, ma anche di altre testate che, a causa del meccanismo del tetto, si vedrebbero ridurre quanto da loro proposto. Ecco perché nella valutazione degli emendamenti rientra anche questo criterio».
«Vi sono norme che riguardano la pubblicità istituzionale. In particolare, si prevede che debbano essere praticati i prezzi più bassi praticati da quella testata per la pubblicità ordinaria. È questa, probabilmente, una penalizzazione degli editori che ricevono la pubblicità, perché si trovano a dover praticare tariffe molto basse, alla pari di altre imprese, che, però, forse garantiscono maggiori volumi. È, però, una forma di razionalizzazione e di riduzione della spesa in questo senso».
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Comprendo le istanze di coloro che sostengono che ciascuno deve riuscire ad andare avanti con le proprie forze. Ciò in astratto può anche essere condivisibile. Ma nell’immediato far cessare da un giorno all’altro un sostegno che c’è sempre stato, credo che non sia davvero sostenibile perché causerebbe una perdita di posti di lavoro oltre che di un patrimonio culturale ed informativo importante per il nostro Paese e soprattutto sarebbe un atto non leale da parte dello Stato nei confronti di questi soggetti perché si possono fare tante richieste ma non quella di riuscire a fare a meno improvvisamente da un giorno all’altro di un sostegno in molti casi molto importante nei bilanci, specialmente in un periodo difficile come quello che stiamo attraversando».